L’impresa sociale non è una forma civilistica a sé stante ma è una “qualifica”. È cioè una modalità specifica del “fare impresa” che prescinde dalla forma giuridica dell’organizzazione che la assume. Possono pertanto acquisire la qualifica di impresa sociale tutti gli enti privati sia del libro I (associazioni, fondazioni, comitati) che del libro V del codice civile (cioè società, sia di capitali che di persone, con l’eccezione delle società con un unico socio persona fisica).
Tale qualifica può essere assunta dalle organizzazioni che:
La qualifica di impresa sociale, non modificando la natura giuridica civilistica dell’ente, può pertanto anche essere persa o oggetto di rinuncia. In questi casi però si ha la perdita del patrimonio residuo e la sua devoluzione ad altro ente del Terzo settore (Ets) o ai fondi per la promozione e lo sviluppo delle imprese sociali.
Come noto, nel codice civile non si definisce l’impresa quanto l’imprenditore come colui che esercita professionalmente un’attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o di servizi. Pertanto, l’esercizio dell’impresa sociale qualifica pienamente il soggetto come “imprenditore”, anche se, è bene ribadirlo, senza scopo di lucro soggettivo.
Il codice del Terzo settore identifica una specifica sezione del registro unico nazionale del Terzo settore (Runts) dedicata alle imprese sociali. All’interno della stessa sezione sono incluse le cooperative sociali che quindi si qualificano, in automatico e per volontà del legislatore, come imprese sociali.
Possono essere qualificate come imprese sociali sia gli enti del Libro I del codice civile (associazioni, fondazioni, comitati), sia gli enti del Libro V e quindi le società costituite in qualsiasi forma come ad esempio le Sas, le Snc, le Srl, le Spa o le cooperative. Le cooperative sociali e i loro consorzi, come detto, acquisiscono di diritto la qualifica di imprese sociali. A questi ultimi, si applica la disciplina dell’impresa sociale, quando non incompatibile con la normativa specifica (legge 381/91).
CHI ESCLUDE
Non possono acquisire la qualifica di impresa sociale:
Queste realtà possono essere socie di un’impresa sociale ma non ne possono detenere il controllo o in qualsiasi modo, diretto o indiretto, esercitarne la direzione.
Il fatto che i volontari debbano essere minoritari (oltre che operare in modo complementare e non sostitutivo rispetto ai lavoratori retribuiti), rende di fatto incompatibile la qualifica di impresa sociale con le organizzazioni di volontariato, nelle quali i volontari invece devono essere prevalenti.
Di fatto, l’acquisizione della qualifica di impresa sociale può essere esclusa anche per le associazioni di promozione sociale che debbono realizzare le proprie attività “avvalendosi in modo prevalente dell’attività di volontariato dei propri associati”.
Tuttavia è bene ricordare che nell’uno come nell’altro caso, non essendo possibile essere contemporaneamente iscritti in due diverse sezioni del registro unico nazionale del Terzo settore, con l’acquisizione della qualifica di impresa sociale si perderebbero comunque quelle di organizzazione di volontariato o di associazione di promozione sociale o qualsiasi altra definizione relativa ad altre sezioni del registro unico. Quindi, occorrerebbe in ogni caso procedere ad una modifica statutaria in tal senso.
Alle imprese sociali si applicano, nel caso in cui siano compatibili, tutte le prescrizioni previste per gli enti del Terzo settore, mentre per gli aspetti non disciplinati fa fede il codice civile con riferimento alla natura giuridica “di partenza” (associazione, fondazione, società, ecc.) dell’impresa sociale.
L’impresa sociale è costituita con atto pubblico, e gli atti costitutivi devono esplicitare il carattere sociale dell’impresa, indicando in particolare l’oggetto sociale, con specifico riferimento alle attività di interesse generale svolte e all’assenza di scopo di lucro.
L’impresa sociale si iscrive in un’apposita sezione del registro delle imprese nella cui circoscrizione è stabilita la sede legale. Tale iscrizione soddisfa il requisito dell’iscrizione nel registro unico nazionale del Terzo settore (Runts).
I soci – la cui ammissione è coerente con principi di non discriminazione – possono essere persone fisiche e giuridiche (anche profit), nonché pubbliche amministrazioni. È necessario, inoltre, avere un organo direzionale i cui componenti siano individuati tra i soci, mentre una parte minoritaria può anche essere individuata tra persone esterne all’ente.
Deve esercitare l’attività di impresa in modo stabile e prevalente. Deve operare per una quota pari ad almeno il 70% dei ricavi in attività di interesse generale (per sapere quali vedi l’art. 2 del dlgs 112/2017), o anche svolgere in prevalenza altre attività laddove però attraverso di esse siano inseriti almeno il 30% di lavoratori svantaggiati.
Alcune attività di interesse generale previste dalla normativa generale degli enti di Terzo settore, inoltre, non possono essere esercitate dall’impresa sociale e viceversa.
La maggioranza delle persone che operano nell’impresa sociale lo deve fare nell’ambito di un rapporto di lavoro: i volontari, quindi, devono essere minoritari.
L’impresa sociale deve favorire il coinvolgimento dei lavoratori, degli utenti e di altri stakeholder attraverso meccanismi consultivi e/o partecipativi, statutariamente previsti. Il coinvolgimento deve essere effettivo, e quindi prevedere meccanismi di consultazione o partecipazione che consentano a tali soggetti di esercitare un’influenza sulle decisioni dell’impresa sociale, e soprattutto su quelle che incidono sulle condizioni di lavoro e sulla qualità dei beni o dei servizi.
Le forme e le modalità di coinvolgimento devono essere riportate nel bilancio sociale. I lavoratori ed eventualmente gli utenti devono nominare almeno un componente dell’organo di amministrazione e uno dell’organo di controllo quando le imprese sociali non siano società cooperative a mutualità prevalente e superino due tra i seguenti limiti: un totale dell’attivo dello stato patrimoniale di 2 milioni e 200 mila euro; ricavi delle vendite e delle prestazioni di 4 milioni e 400 mila euro; 25 dipendenti occupati in media durante l’esercizio.
L’impresa sociale deve assicurare ai lavoratori un trattamento economico non inferiore a quello previsto nei contratti collettivi di lavoro e prevedere una differenza retributiva tra dipendenti che non superi il rapporto uno a otto, documentando come tale parametro sia effettivamente rispettato.
L’impresa sociale deve adottare modalità di gestione responsabili e trasparenti; a tal fine è richiesto di tenere registrazioni contabili, redigere il bilancio di esercizio, depositarlo presso il registro delle imprese e pubblicarlo sul proprio sito internet; deve inoltre dotarsi di un collegio sindacale come organo di controllo interno statutariamente previsto, nonché, raggiunti certi limiti dimensionali, di un revisore legale.
In sostanza, un’impresa sociale deve assumere gli obblighi di trasparenza cui sono tenute le imprese. Le imprese sociali sono sempre tenute alla redazione e pubblicizzazione del bilancio sociale, indipendentemente dalla loro dimensione economica e forma giuridica. È inoltre prevista per tutte le imprese sociali un’attività ispettiva simile alla revisione cui sono sottoposte le cooperative, svolta dal Ministero del Lavoro, che per tale accertamento può avvalersi di enti associativi riconosciuti, cui aderiscano almeno mille imprese sociali di almeno cinque diverse Regioni.
In caso di trasformazione, fusione o scissione di una impresa sociale, va evitato che il patrimonio accumulato grazie all’attività svolta dall’ente mentre era configurato come impresa sociale sia reso divisibile e quindi fruibile privatamente. Quindi non è possibile, ad esempio, accumulare un patrimonio come impresa sociale e poi essere incorporati, con il proprio patrimonio, entro un’impresa for profit. Allo scioglimento dell’impresa sociale il patrimonio va devoluto, sul modello delle società cooperative, a specifici fondi.
La denominazione dell’impresa sociale, i relativi atti e la corrispondenza, devono contenere l’indicazione di “impresa sociale”. Tale indicazione, o indicazioni equivalenti o ingannevoli, non può essere usata da soggetti diversi dalle imprese sociali.
All’attività di direzione e coordinamento di un’impresa sociale si applicano, in quanto compatibili, le norme del codice civile sulla direzione e coordinamento di società e sul gruppo cooperativo paritetico. La presidenza dell’impresa sociale, inoltre, non può essere affidata neanche ai rappresentanti di società costituite da un unico socio persona fisica, amministrazioni pubbliche e gli enti con scopo di lucro.
Per direzione e coordinamento si intende il fatto che un soggetto abbia – realmente o per previsione statutaria – la facoltà di nominare la maggioranza dei componenti dell’organo di amministrazione dell’impresa sociale. Nella prassi si intende esercitate queste funzioni quando ad es. si ricopre la carica di presidente o si detiene la legale rappresentanza dell’impresa sociale.
Per controllo, invece, si intende il fatto che un soggetto possa determinare la maggioranza dei voti o che comunque – grazie ai voti che detiene o a eventuali vincoli contrattuali – può esercitare un’influenza dominante nell’assemblea ordinaria.
In caso di violazione del divieto, le decisioni assunte sono annullabili e possono essere impugnate entro 180 giorni. L’impugnazione può essere fatta anche dal Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali.
L’atto costitutivo o lo statuto possono riservare a soggetti esterni all’impresa sociale la nomina di componenti degli organi sociali. In ogni caso, spetta comunque all’assemblea degli associati o dei soci la nomina della maggioranza dei componenti dell’organo di amministrazione. Inoltre, l’atto costitutivo deve prevedere specifici requisiti di onorabilità, professionalità e indipendenza per coloro che assumono cariche sociali.
L’impresa sociale deve depositare presso il registro delle imprese e pubblicare nel proprio sito internet il bilancio sociale secondo linee guida adottate con decreto del Ministro del Lavoro e delle Politiche sociali, tenendo conto, tra gli altri elementi, della natura dell’attività esercitata e delle dimensioni dell’impresa sociale, anche ai fini della valutazione dell’impatto sociale delle attività svolte.
Per le imprese sociali non vale la possibilità – esistente per tutti gli enti del Terzo settore – di ricevere in comodato da enti pubblici beni mobili e immobili di loro proprietà, non utilizzati per fini istituzionali.
Le imprese sociali costituite in forma di società secondo le indicazioni del Libro V del codice civile (escluse quindi associazioni e fondazioni, che non possono, anche se qualificate come imprese sociali, distribuire in alcun modo utili), possono destinare eventuali utili ed avanzi di gestione a finalità diverse dallo svolgimento dell’attività statutaria o dall’incremento del patrimonio.
Come?
1) Rispetto agli altri Ets, le imprese sociali possono redistribuire gli utili entro certi limiti.
Per le imprese sociali in forma di società, questa limitata distribuzione degli utili può avvenire:
Inoltre, le cooperative sociali possono ripartire ai soci i ristorni a condizione che le modalità e i criteri di ripartizione siano indicati nello statuto o atto costitutivo. È necessario, inoltre, che la ripartizione degli storni ai soci sia proporzionale alla quantità o alla qualità degli scambi mutualistici e che si registri un avanzo di gestione mutualistico.
2) A tutte le imprese sociali, infine, è consentito di destinare eventuali utili ed avanzi di gestione a finalità diverse dallo svolgimento dell’attività statutaria o dall’incremento del patrimonio. In particolare, esse possono destinare:
Si ricorda, infine, che un’impresa sociale costituita in forma di società, deve comunque destinare almeno il 50% dell’utile allo svolgimento dell’attività statutaria o all’incremento del patrimonio. Questa parte di utile non è sottoposta a tassazione.
All’impresa sociale come per tutti gli Ets, è vietata:
In sostanza, si vuole evitare che l’utile non si formi perché di fatto è stato “distribuito” in precedenza attraverso mezzi tesi a distribuire risorse a stakeholder dell’impresa mascherandole come transazioni di mercato.
La denominazione dell’impresa sociale, i relativi atti e la corrispondenza, devono contenere l’indicazione di “impresa sociale”. Tale indicazione, o indicazioni equivalenti o ingannevoli, non può essere usata da soggetti diversi dalle imprese sociali.
Le cooperative sociali sono imprese sociali di diritto ma le indicazioni si applicano in misura in cui sono compatibili con la disciplina specifica; laddove invece vi siano norme specifiche relative alla forma cooperativa, come ad esempio nel caso delle attività di interesse generale, della gestione degli utili e della trasformazione della società, queste ultime prevalgono rispetto a quanto previsto in sede di disciplina dell’impresa sociale.
Agli enti religiosi civilmente riconosciuti, la disciplina dell’impresa sociale si applica limitatamente allo svolgimento delle attività di interesse generale, a condizione che per tali attività adottino uno specifico regolamento, in forma di atto pubblico o scrittura privata autenticata, che recepisca la normativa valida per l’impresa sociale.
Per lo svolgimento delle medesime attività deve essere costituito un patrimonio destinato e devono essere tenute separatamente le scritture contabili.
Tali enti sono tenuti al deposito nel registro delle imprese solo del regolamento e delle sue modificazioni. Inoltre, sono esentati dall’obbligo di utilizzare l’indicazione di “impresa sociale” nella denominazione, negli atti e nella corrispondenza, nonché dall’obbligo di coinvolgimento dei lavoratori e degli utenti e di altri soggetti direttamente interessati alle loro attività.
Non sono soggette all’obbligo di iscrizione nella sezione delle imprese sociali nel registro delle imprese le società di mutuo soccorso che hanno un versamento annuo di contributi associativi non superiore a 50 mila euro e che non gestiscono fondi sanitari integrativi.
Il codice del Terzo settore provvede al riordino della disciplina sull’impresa sociale, di cui viene data definizione nella legge di delega.
Tra le novità:
Decreto legislativo 3 luglio 2017, n. 112 “Revisione della disciplina in materia di impresa sociale”
Decreto legislativo 3 luglio 2017, n. 117 “Codice del Terzo settore”: artt. 11, 40, 46, 71
Legge 8 novembre 1991, n. 381 “Disciplina delle cooperative sociali”
Decreto Legge 34/2019 (Dl Crescita): art. 43 comma 4 bis
Decreto legislativo 24 marzo 2006, n. 155 “Disciplina dell’impresa sociale”
Dal 03 agosto 2017 per gli enti del Terzo settore.
Dal 20 luglio 2017 per le indicazioni specifiche sull’impresa sociale.