Come pubblicare i contributi pubblici agli enti non profit

Tutte le indicazioni in vista della scadenza del prossimo 30 giugno per le organizzazioni che hanno ricevuto importi pari o superiori a 10.000 euro. E per non sbagliare, un fac-simile per la compilazione

Il 30 giugno prossimo scade un termine importante per quanto riguarda molti enti non profit, relativo all’obbligo di pubblicazione dei contributi pubblici ricevuti nell’anno precedente, qualora questi siano pari o superiori a 10.000 euro.

La legge di conversione del Decreto legge n. 52 del 2021 (cosiddetto “Riaperture”), di prossima pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, ha prorogato al 1° gennaio 2022 il momento da cui scattano le sanzioni previste per la mancata pubblicazione, lasciando però immutata la data del 30 giugno. Il legislatore ha di fatto previsto che per tutto il 2021 non possano essere comminate sanzioni per il mancato adempimento; non essendo però chiaro quale sia a questo punto l’effettivo termine per la pubblicazione dei contributi ricevuti nel 2020 il consiglio è in primis di rispettare quello ordinario del 30 giugno prossimo e, qualora ciò non sia possibile, di procedere comunque alla pubblicazione delle somme entro la fine di quest’anno.

I soggetti interessati: associazioni, fondazioni e Onlus

La normativa di riferimento è rappresentata dalla legge 4 agosto 2017, n. 124, in particolare ai commi da 125 a 129, modificata nella formulazione attuale dal decreto legge 30 aprile 2019, n. 34 (“Decreto Crescita”), che ha disposto in modo permanente alcuni obblighi di trasparenza riguardanti i contributi pubblici ricevuti (anche) dagli enti non profit.

Importanti chiarimenti sul tema sono poi stati forniti dalla circolare del Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, n. 2 dell’11 gennaio 2019: nonostante tale documento si riferisca in particolare agli enti del Terzo settore (Ets), le indicazioni in esso contenute possono ragionevolmente estendersi anche agli altri soggetti tenuti al rispetto delle disposizioni menzionate.

L’obbligo in questione si applica alle associazioni, alle fondazioni e alle Onlus che hanno ricevuto sovvenzioni, sussidi, vantaggi, contributi o aiuti, in denaro o in natura, non aventi carattere generale e privi di natura corrispettiva, retributiva o risarcitoria, pari o superiori a 10.000 euro, da parte:

  • delle pubbliche amministrazioni di cui all’art. 1, c. 2 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165;
  • dei soggetti di cui all’art. 2-bis del decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33. Fra essi rientrano anche le società in controllo pubblico, così come le associazioni, le fondazioni ed in generale gli enti di diritto privato con bilancio superiore a 500.000 euro di entrate annuali, la cui attività sia stata finanziata in modo maggioritario per almeno due esercizi finanziari consecutivi nell’ultimo triennio da pubbliche amministrazioni e in cui la totalità dei componenti dell’organo d’amministrazione o di indirizzo sia designata da pubbliche amministrazioni.

Sono inoltre soggette all’obbligo di rendicontazione anche le associazioni di protezione ambientale e le associazioni dei consumatori e degli utenti rappresentative a livello nazionale (che in realtà già vi rientravano in quanto appunto “associazioni”), e le cooperative sociali che svolgono attività a favore degli stranieri di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286.

Pur non menzionandoli nello specifico, è evidente come la normativa richiamata si applichi anche agli enti del Terzo settore e quindi, ad oggi e in assenza del registro unico nazionale, alle organizzazioni di volontariato (Odv) e alle associazioni di promozione sociale (Aps): questo nonostante il codice del Terzo settore disponga già per essi alcuni importanti obblighi in tema di trasparenza.

L’obbligo in questione si applica come detto anche alle Onlus: è bene infatti ricordare che la normativa Onlus è stata sì soppressa dal codice del Terzo settore, ma tale abrogazione diventerà effettiva solo a partire dal periodo di imposta successivo all’autorizzazione europea sulla nuova parte fiscale per gli Ets.

I soggetti interessati: le società

La legge 124/2017 distingue i soggetti menzionati nel paragrafo precedente da quelli che esercitano attività d’impresa, ai sensi dell’art. 2195 del Codice civile, disponendo per essi modalità di pubblicazione parzialmente diverse rispetto a quelle previste per associazioni, fondazioni e Onlus, di cui si dirà a breve.

Fra tali soggetti rientrano sicuramente le società di cui al Libro V del Codice civile, oltre che le imprese sociali costituite in forma societaria.

Il discorso si fa più problematico per le cooperative sociali, che sono sia “società” che “onlus” (di diritto): la circolare ministeriale menzionata in precedenza afferma la prevalenza del profilo legato alla forma giuridica e quindi le cooperative sociali (tranne quelle che svolgono attività a favore degli stranieri) sono tenute ad adempiere all’obbligo di pubblicazione nelle stesse forme previste per le società. Applicando tale ragionamento alle imprese sociali, si ricava che quelle costituite in forma di associazione o fondazione sono chiamate a rispettare le regole di pubblicazione previste per tali forme giuridiche.

Il contenuto dell’obbligo e il termine per la pubblicazione

L’obbligo scatta solo nel momento in cui gli enti menzionati (associazioni, fondazioni e Onlus da un lato, società dall’altro) abbiano ricevuto contributi pubblici per una cifra pari o superiore a 10.000 euro: il riferimento è l’esercizio finanziario precedente cioè, per gli enti che hanno l’esercizio sociale coincidente con l’anno solare, il periodo che va dal 1° gennaio al 31 dicembre 2020.

Una fondamentale novità rispetto alla formulazione originaria della disposizione è che non tutte le risorse provenienti dalle pubbliche amministrazioni rientrano nel plafond dei 10.000 euro, ma solamente quelle relative a “sovvenzioni, sussidi, vantaggi, contributi o aiuti, in denaro o in natura, non aventi carattere generale e privi di natura corrispettiva, retributiva o risarcitoria”.

Ciò significa che eventuali apporti economici di natura corrispettiva (commerciale) con gli enti pubblici non rientrano nel computo dei 10.000 euro, così come quelli dovuti dalla pubblica amministrazione a titolo di risarcimento; vi rientrano invece i contributi concessi dall’ente pubblico a titolo di liberalità oppure dietro presentazione di uno specifico progetto da parte dell’associazione.

I contributi possono essere non solo in denaro ma anche “in natura”. La circolare del Ministero del Lavoro ha precisato che si intendono quindi ricomprese anche le risorse strumentali, quali ad esempio un bene mobile o immobile concesso in comodato dalla pubblica amministrazione: in tal caso si dovrà chiedere alla stessa di comunicare il valore del bene, il quale dovrà essere indicato nel rendiconto. Qualora non fosse possibile individuare una cifra precisa, è consigliabile fare riferimento a quello che è il valore di un bene simile o analogo sul mercato.

Alcune specifiche attribuzioni economiche: 5 per mille e contributi a fondo perduto

Per quanto riguarda il 5 per mille, la richiamata circolare ministeriale del 2019 aveva disposto che le somme derivanti da esso dovessero essere ricomprese nel plafond dei 10.000 euro. Tale circolare era stata però emanata prima della modifica apportata alla Legge 124 del 2017 dal “Decreto Crescita”: il fatto che nel nuovo testo si parli di contributi “non aventi carattere generale” porta a ritenere che le somme erogate a titolo di 5 per mille non vadano conteggiate nel computo, e ciò poiché tale strumento è stato negli ultimi anni definitivamente istituzionalizzato e quindi reso stabile. Mancando però ancora una conferma istituzionale di una simile interpretazione il consiglio, in via prudenziale, è quello di conteggiarle nel computo dei 10.000 euro.

Nel corso del 2020, per far fronte all’emergenza pandemica, sono stati erogati importanti contributi a fondo perduto anche ad associazioni e altri enti non profit: si fa riferimento nello specifico a quelli relativi ai Decreti “Rilancio” e “Ristori. Visto che tali contributi non sembrano avere carattere generale, il consiglio è quello di conteggiarli nel computo dei 10.000 euro.

Ulteriori precisazioni sul limite dei 10.000 euro

Ai fini della pubblicazione occorre tener conto dei contributi “effettivamente erogati”: ciò significa che vanno conteggiate solo le somme che l’ente ha effettivamente incassato nel corso dell’esercizio finanziario precedente e non quelle che sono state solamente stanziate dall’ente pubblico ma non ancora incassate dall’organizzazione.

La circolare ministeriale ha inoltre chiarito che il limite dei 10.000 deve essere inteso in senso cumulativo, riferendosi al totale degli apporti pubblici ricevuti e non alla singola erogazione: esemplificando, se l’ente ha ricevuto durante l’anno contributi su due distinte progettualità da 9.000 euro ciascuna (da due differenti enti pubblici), il limite dei 10.000 euro è superato e scatta quindi l’obbligo di pubblicazione di tali somme.

Le informazioni da pubblicare

La circolare ministeriale ha specificato che le informazioni devono essere pubblicate in modo schematico e comprensibile per il pubblico, individuando come necessarie le seguenti voci:

  1. denominazione e codice fiscale del soggetto ricevente (l’associazione);
  2. denominazione del soggetto erogante (la pubblica amministrazione);
  3. somma incassata (per ogni singolo rapporto giuridico);
  4. data di incasso;
  5. causale (cioè la descrizione relativa al motivo per cui tali somme sono state erogate: ad esempio, come “liberalità” oppure come “contributo in relazione ad un progetto specifico presentato dall’ente”).

Un fac-simile di rendiconto dei contributi pubblici può essere scaricato qui.

Le cooperative sociali che svolgono attività a favore degli stranieri di cui al Decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 devono inoltre pubblicare trimestralmente nei propri siti internet o portali digitali l’elenco dei soggetti a cui sono versate somme per lo svolgimento di servizi finalizzati ad attività di integrazione, assistenza e protezione sociale: peraltro sulla ragionevolezza, e quindi sulla costituzionalità, di una simile previsione, si potrebbero avanzare diversi dubbi.

Le modalità e i termini di pubblicazione

Le associazioni, le fondazioni e le Onlus (oltre alle cooperative sociali che svolgono attività a favore degli stranieri) devono pubblicare entro il 30 giugno 2021 i contributi ricevuti sul proprio sito internet oppure su “analogo portale digitale”. La circolare ministeriale ha ammesso, per le organizzazioni che non hanno il sito internet, la possibilità di utilizzare la pagina Facebook dell’ente. Sempre secondo la circolare, qualora l’organizzazione non avesse nemmeno la pagina Facebook, l’obbligo può comunque essere adempiuto pubblicando i contributi sul sito internet della rete associativa alla quale l’ente aderisce.

Le società (comprese le cooperative sociali e le imprese sociali costituite in forma societaria) sono invece tenute a pubblicare le stesse informazioni nella nota integrativa del bilancio di esercizio e dell’eventuale bilancio consolidato. Il termine è quello ordinario previsto per l’approvazione del bilancio. I soggetti che redigono il bilancio in forma abbreviata e quelli comunque non tenuti alla redazione della nota integrativa assolvono all’obbligo pubblicando le informazioni, entro il 30 giugno 2021, sul proprio sito internet, secondo modalità liberamente accessibili al pubblico o, in mancanza, sui portali digitali delle associazioni di categoria di appartenenza.

Nonostante la normativa non stabilisca nulla riguardo a quanto debbano essere mantenuti sul sito i diversi rendiconti, si consiglia di lasciare pubblicati anche i rendiconti precedenti, posizionandoli all’interno di una sezione specifica ed in evidenza.

Le sanzioni previste

Il controllo sull’adempimento dell’obbligo di pubblicazione dei contributi pubblici è in capo ai soggetti erogatori oppure all’amministrazione vigilante o competente per materia.

Come conseguenza dell’inosservanza dell’obbligo di pubblicazione è prevista, sia per associazioni/fondazioni/Onlus che per le società, in prima battuta una sanzione economica pari all’1% degli importi ricevuti, con un importo minimo di 2.000 euro, oltre alla sanzione accessoria dell’obbligo di pubblicazione. Se da tale contestazione passano 90 giorni e l’organizzazione non provvede alla pubblicazione e al pagamento della sanzione, si avrà l’ulteriore sanzione della restituzione integrale delle somme ricevute.

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