Il nuovo Dpcm 26 aprile 2020, in vigore da lunedì 4 maggio, allenta in parte i vincoli e le restrizioni previsti nelle scorse settimane ma le nuove misure sono comunque ancora fortemente improntate ad un principio di precauzione. Ecco il quadro della nuova situazione
Il nuovo Dpcm 26 aprile 2020 ha aperto, da lunedì 4 maggio, la cosiddetta “Fase 2” dell’emergenza Covid-19 (o Coronavirus). Una fase, definita dal premier Conte nella sua informativa alle Camere dello scorso 30 aprile, “di convivenza” con il virus, e che dovrà quindi ancora essere caratterizzata da forte prudenza e da un uguale senso di responsabilità a quello mostrato nella prima fase, al fine di tutelare la salute di tutti gli individui.
Il nuovo Decreto, che produrrà i suoi effetti dal 4 al 17 maggio, non detta nello specifico disposizioni nei confronti dei volontari ma contiene misure ed indicazioni che si applicano anche ai volontari e agli enti non profit in generale.
Nella “Fase 2” continuano anzitutto a poter essere svolte le attività di volontariato che erano state individuate nella “Fase 1” sulla base delle Faq governative e della Circolare del Ministero del Lavoro n. 1 del 27 marzo 2020: ci si riferisce in particolare a quelle attività svolte nell’ambito dei servizi sociali per soddisfare esigenze primarie di soggetti fragili e in condizione di bisogno (ad esempio anziani, disabili, persone senza fissa dimora).
Vi rientrano nello specifico i servizi di distribuzione alimentare o di consegna farmaci a domicilio per anziani o disabili senza assistenza, o i servizi di disbrigo di pratiche amministrative (quali il pagamento di bollette). Per una panoramica degli altri ambiti in cui è ammessa l’attività del volontario si rinvia alla lettura di “Servizi sociali e volontariato: il punto dopo gli ultimi interventi normativi”.
Un’apertura rispetto alla fase precedente è la possibilità per i minori e le persone non completamente autosufficienti di svolgere attività sportiva o motoria all’aperto con la presenza di un accompagnatore (art.1, lett. f), il quale può essere anche un volontario (o anche un dipendente di un ente del terzo settore).
È infine ripresa la raccomandazione ad alcune categorie di persone di evitare di uscire dalla propria abitazione fuori dai casi di stretta necessità: tale “monito” deve essere valutato con particolare attenzione per le persone che hanno più di 65 anni, oppure sofferenti di più patologie o immunodepressi.
Nello svolgimento delle attività richiamate al paragrafo precedente è ovviamente necessario che i volontari rispettino la distanza di sicurezza interpersonale di almeno un metro, utilizzino le mascherine e gli altri dispositivi di protezione individuale (Dpi) e rispettino le accortezze igienico-sanitarie previste nell’allegato 4 del Decreto.
Negli spostamenti è necessario avere con sé il modulo di autocertificazione, indicando come motivazione lo “stato di necessità” e descrivendo l’attività svolta nell’apposito spazio. Qualora il volontario faccia parte di un’organizzazione, è importante che essa gli rilasci un’attestazione che certifichi la sua qualifica di volontario.
Il consiglio per i volontari che vogliono mettersi a disposizione negli ambiti sin qui menzionati è comunque sempre quello di non muoversi in forma singola ma per il tramite di organizzazioni strutturate, e comunque raccordando la propria azione con gli enti pubblici territoriali di riferimento (in particolare i Comuni).
Spostando l’obiettivo dall’attività dei singoli volontari a quella degli enti, la più importante novità del dpcm del 26 aprile è il fatto che nell’allegato 3 compare fra i codici Ateco il n.94, che riguarda le “attività di organizzazioni associative”. A dire il vero tale Codice compariva anche negli elenchi dei precedenti Dpcm ma era accompagnato dalla descrizione “attività di organizzazioni economiche, di datori di lavoro e professionali”, che si riferisce invece al Codice 94.1.
Tale errore non vi è più e ad oggi potrebbero quindi, in teoria, ripartire le attività di moltissimi enti non profit caratterizzati da quel particolare codice: si tratta di enti associativi che in alcuni casi hanno personale dipendente o comunque retribuito, ma che nella maggior parte dei casi si avvalgono di volontari.
Il Dpcm è però molto chiaro nel raccomandare in più punti ancora l’utilizzo del lavoro agile e a distanza, ed è altrettanto chiaro nel ribadire come l’eventuale ripartenza delle attività possa avvenire solamente in presenza di condizioni che assicurino ai lavoratori adeguati livelli di protezione.
Quanto detto vale anche per gli enti che si avvalgono in tutto o in parte di volontari, che dovranno quindi ponderare con estrema attenzione l’eventuale ripresa delle attività, la quale dovrà avvenire nel rispetto dei protocolli condivisi (in particolare di quello contenuto all’Allegato 6 del Decreto) e mettendo in atto tutte le misure e gli adempimenti necessari richiesti dalla normativa in materia di sicurezza. Nel caso in cui un lavoratore o un volontario contraesse il Covid-19 durante l’attività, e l’ente non avesse correttamente posto in essere tutto quanto dovuto in termini di prevenzione e protezione, in capo ad esso si configurerebbe una responsabilità di tipo penale.
Qualora l’ente, valutati i rischi e adottate tutte le misure dovute, decidesse di riprendere l’attività, gli spostamenti dei volontari saranno giustificati in base a “comprovate esigenze lavorative”; l’organizzazione dovrà inoltre rilasciare una dichiarazione indicante la ripresa dell’attività ai sensi dell’Allegato 3 del DPCM e l’appartenenza del volontario all’ente.
Altra novità di rilievo, prevista dall’art.8 del Dpcm, è la riapertura dei centri diurni rivolti a persone con disabilità, la quale viene però subordinata all’emanazione di piani territoriali adottati dalle Regioni.
Gli enti e le associazioni che operano, anche avvelandosi di volontari, in tale ambito possono quindi ripartire con le loro attività, rispettando ovviamente tutti gli specifici protocolli sanitari e adempimenti legati alla sicurezza volti a prevenire il contagio e a tutelare la salute degli utenti e degli operatori.
Nonostante una certa “riapertura”, che come detto caratterizza la “Fase 2”, rimane ancora il generale divieto di assembramento di persone in luoghi pubblici e privati.
Da ciò discende la (logica) perdurante sospensione di alcune attività che possono riguardano il mondo del volontariato e in generale degli enti non profit, ed in particolare: