Strumento di pubblicità e trasparenza, è l’elemento costitutivo per la qualifica degli enti ma sarà davvero efficace solo se rispecchierà le ragioni per cui è stato istituito. Il commento del professor Luca Gori sulla pubblicazione del nuovo decreto attuativo
L’adozione del decreto ministeriale istitutivo del registro unico nazionale del Terzo settore (oramai divenuto, gergalmente, Runts, d.m. n. 106 del 2020) costituisce uno dei passaggi più rilevanti dell’intera riforma del Terzo settore. Molti sono stati i sentimenti che il registro ha suscitato: desiderio che si realizzasse speditamente, attesa per conoscerne operatività e contenuti, paura per la pesantezza degli oneri e delle procedure. Nelle prossime settimane, dopo la pubblicazione del decreto in Gazzetta ufficiale, l’attenzione sarà concentrata sugli aspetti operativi, sia dal lato delle pubbliche amministrazioni sia dal lato degli enti del Terzo settore (Ets). La necessaria considerazione dei singoli procedimenti (trasmigrazione automatica, iscrizione ex novo, migrazione delle Onlus, regime delle ONG, ecc.), tuttavia, non deve far perdere di vista il quadro d’insieme dell’operazione realizzata: il rischio, infatti, è l’appiattimento su una dimensione puramente tecnico-procedimentale o informatica, smarrendo il significato proprio del registro unico.
Si può, allora, provare a riflettere (almeno) su tre dimensioni del Runts: il registro, la sua unicità e la sua dimensione nazionale.
Anzitutto, un registro. Si è soliti affermare che l’iscrizione al Runts è elemento costitutivo della qualifica di ente del Terzo settore, al pari di tutti gli altri previsti dall’art. 4 del codice del Terzo settore (enti privati, assenza dello scopo lucrativo, attività di interesse generale svolta in via principale o esclusiva, ecc.). In realtà, a ben vedere, l’iscrizione nel registro costituisce il momento nel quale la pubblica amministrazione verifica il possesso di tutti i requisiti sostanziali previsti dalla norma e che debbono ritrovarsi, principalmente, nell’atto costitutivo o nello statuto dell’ente. Se tale accertamento ha esito positivo, allora si perfeziona l’iscrizione e l’ente può fregiarsi della qualifica di Ets. Diversamente, l’iscrizione non si perfeziona, e l’ente rimane all’esterno del perimetro del Terzo settore. Si coglie immediatamente, quindi, la delicatezza della fase di accertamento svolta dalla pubblica amministrazione, chiamata a svolgere una funzione di controllo sul modo in cui i soggetti privati hanno esercitato la loro autonomia. È un momento “ad alta tensione”, si potrebbe dire: da una parte, infatti, la pubblica amministrazione deve verificare l’uniforme applicazione delle norme per l’accesso alla disciplina premiale stabilita dal legislatore statale, potenzialmente limitando l’esercizio dell’autonomia privata (il conseguimento del vantaggio presuppone l’adempimento di un onere); dall’altra, invece, l’ente privato, che aspira ad essere (o rimanere) nel Terzo settore, è orientato naturalmente a rivendicare i propri margini di libertà, costituzionalmente garantiti, per perseguire le proprie finalità e le proprie attività nelle forme più spontanee possibili.
Non è un caso, quindi, che al di là del possibile intervento del giudice amministrativo, il codice del Terzo settore e il decreto ministeriale configurino una serie di forme di collaborazionein grado di spegnere questa tensione fisiologica: la disciplina dei modelli di statuto-tipo; il silenzio-iscrizione; la diffida ad adempiere prima della cancellazione, ecc.
Affinché la registrazione possa avvenire efficacementeè poi necessario che sul testo del codice del Terzo settore si consolidi una interpretazione in grado di orientarne l’applicazione, riducendo così i margini di incertezza per gli operatori. Più ampi sono i margini di discrezionalità a disposizione della pubblica amministrazione, maggiore è l’imprevedibilità dell’esito del procedimento e le difficoltà che ciascun ente incontra nell’ingresso nel perimetro del Terzo settore. Si pensi a requisiti come la democraticità di una rete associativa (art. 41 Cts). L’art. 92 del codice del Terzo settore, non a caso, prevede che il Ministero del lavoro e delle politiche sociali vigili «sul sistema di registrazione degli enti del Terzo settore nel rispetto dei requisiti previsti dal presente codice» e monitori «lo svolgimento delle attività degli uffici del Registro unico nazione del Terzo settore operanti a livello regionale».
L’attività interpretativa ministeriale – nelle diverse forme di circolari, note, risposte a quesiti, che iniziano ad avere un volume significativo – costituisce uno dei presupposti sul quale si regge l’intera impalcatura del sistema di registrazione, poiché consente di chiarire univocamente il significato delle disposizioni e, quindi, assicurare che la registrazione avvenga in condizioni di uguaglianza per tutti gli enti, nelle diverse sezioni.
Ma il registro è anche unico. L’unicità è uno dei tratti essenziali del nuovo sistema di registrazione che supera, definitivamente, la moltiplicazione dei registri nazionali e regionali, costruiti nel corso del tempo dalle diverse leggi di settore. Ciascuno di essi era stato pensato in una determinata stagione legislativa e con una finalità diversa, affidato ad amministrazioni differenti e con procedimenti di iscrizione e forme di controllo particolari. Ad essi si sono poi sommati poi i registri regionali o locali o, comunque, istituiti in autonomia da parte dei diversi enti pubblici (ad es., le aziende Asl). Sulla scorta dell’esperienza di questa babele di registri, il legislatore della riforma ha compiuto la scelta dell’unitarietà della registrazione ai fini della disciplina del Terzo settore. L’unitarietà è una condizione per realizzare la trasparenza. Ogni soggetto portatore di un interesse, infatti, deve poter essere posto in grado, dapprima, di sapere dove reperire le informazioni, e, successivamente, di accedervi con la ragionevole certezza che tali informazioni riferite ad un ente hanno accettabile grado di completezza, intellegibilità, comparabilità. Ed è essenziale che le informazioni siano appropriate e proporzionate allo scopo.
L’inevitabile informatizzazione assicurerà una (relativa) facilità di accesso, che è requisito della trasparenza: l’art. 26, c.3 del d.m. stabilisce che «la consultazione del Registro avviene da parte dei terzi in via telematica, attraverso il portale dedicato». Ed aggiunge che tutte le pubbliche amministrazioni potranno accedere ai contenuti del registro, con un effetto semplificatorio non trascurabile, prevedendosi che non potranno «richiedere agli Ets atti o documenti già depositati al Runts in conformità con le disposizioni di cui al presente decreto».
Dunque, l’unicità e l’accessibilità costituiscono uno dei passaggi più importanti, che gli Ets debbono prendere in considerazione con attenzione. Oggi, vi è un effetto opacità diffuso: pochissimi registri sono accessibili in modalità telematica; per accedervi occorre formulare delle istanze di accesso agli atti o di accesso civico generalizzato; le informazioni non sono omogenee e ben organizzate. Il Runts, invece, rappresenterà una formidabile chiave di accountability verso i terzi (specialmente quelli qualificati, come i donatori, gli aspiranti associati o volontari, ecc.) e verso la pubblica amministrazione.
Il registro ha poi un carattere nazionale. La gestione operativa avviene su base territoriale «in collaborazione con ciascuna Regione e Provincia autonoma», chiamata ad individuare la struttura competenza del registro. Questa operatività territoriale non deve costituire l’occasione per la rivendicazione di un “federalismo della registrazione” che contraddirebbe il carattere nazionale del registro, ne comprometterebbe l’unitarietà e, in definitiva, minerebbe il senso stesso della registrazione come procedimento di controllo uniforme. Lo spazio delle Regioni, infatti, è limitato all’individuazione dell’ufficio regionale Runts all’interno dell’amministrazione regionale (con legge regionale, probabilmente) ed all’esercizio delle funzioni amministrative indicate all’art. 4, c.2 del d.m.. Ecco che non si comprenderebbero né fughe creative in avanti (sul punto, è utile una lettura delle sentenze nn. 185/2018 e 131/2020 della Corte costituzionale), né ritardi nell’attuazione che – di fatto – comprometterebbero il risultato istituzionale complessivo (e forse non sarebbe stato male introdurre una sorta di disciplina statale cedevole in grado di garantire, comunque, l’operatività del Runts). Occorre creare, sin da subito, un clima di leale collaborazione, nella prospettiva dell’art. 118 della Costituzione, nella sua globalità: si tratta, infatti, dell’esercizio di funzioni amministrative essenzialiper la piena esplicazione della sussidiarietà orizzontale.
Fra l’altro, evidenzia proprio la dimensione nazionale del registro l’apprezzabile scelta di attribuire, con riferimento alle reti associative l’espletamento delle attività iscrizione, controllo, cancellazione, al livello ministeriale (art. 4, c.3, lett. c)) al fine di assicurare che tali soggetti, vere e proprie infrastrutture nazionali o, comunque, sovraregionali del Terzo settore – chiamate a ruoli assai delicati, non sempre adeguatamente messi a fuoco – possano godere di un trattamento uniforme su tutto il territorio.
Un registro, unico e nazionale, dunque, «del Terzo settore». Nella congerie di procedimenti, allegati e tracciati, non si dimentichi che esso è pure «del Terzo settore». Ciò non dovrebbe essere solo un complemento di specificazione che chiarisce l’attributo del registro, bensì pure esprimere una sorta di “possesso”. Esso, cioè, dovrebbe aspirare a divenire lo strumento attraverso il quale il Terzo settore rafforza la propria legittimazione nella comunità e nei suoi stakeholder, assicura che i benefici che gli sono riconosciuti sono giustamente fruiti, si impegna, in un esercizio di controllo ed auto-controllo, ad assicurare la “compliance normativa”. Se, invece, rimane solo come il registro della pubblica amministrazione, vissuto come insieme di prescrizioni ed obblighi telematici, esso non avrà quella capacità di raccontare il Terzo settore italiano e la sua finalità, di essere la chiave di accesso agli istituti della sussidiarietà, sarà frustrata.
* costituzionalista e docente presso la Scuola Superiore Sant'Anna di Pisa - centro di ricerca Maria Eletta Martini