Pronta da tempo alle modifiche richieste dalla nuova normativa, la rete nazionale ha investito molto in formazione e informazione, pur dovendo fare i conti con un quadro normativo incompleto e di non facile lettura ed attuazione. Tra i punti critici, il ritardo con cui arriva il registro e la poca chiarezza del nuovo impianto fiscale
Composta in gran parte da associazioni di promozione sociale (Aps), oltre che da organizzazioni di volontariato (Odv), fondazioni Ets, cooperative sociali, imprese sociali ed associazioni di promozione sportiva, Anffas, associazione nazionale di famiglie e persone con disabilità intellettiva e disturbi del neurosviluppo, è una rete associativa attiva in Italia da oltre 63 anni. Fanno parte del sistema anche la fondazione nazionale Anffas “Durante e dopo di noi”, diventata ente filantropico, e il Consorzio “la Rosa Blu”, impegnato nella promozione e gestione di attività formative e di supporto tecnico all’intera rete.
Secondo il suo presidente Roberto Speziale il sistema è pronto ai cambiamenti proposti dalla riforma del Terzo settore, a cui si sta preparando da tempo. Dopo aver attuato, a livello nazionale, un apposito progetto denominato “ETS-sviluppo in rete”, cofinanziato dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, ha avviato la definizione del codice di qualità e di autocontrollo come stabilito dalla riforma, con riferimento alle linee guida emanate dal Forum Nazionale del Terzo Settore. Una scelta che dimostra come la rete, anche al di là degli obblighi imposti dalla normativa, abbia deciso di dotarsi di sistemi utili a rendere ancor più trasparenti ed evidenti le modalità con le quali persegue i propri fini associativi. Per farlo è necessario applicare nuove forme di rendicontazione sociale, che garantiscono partecipazione e democraticità, modelli organizzavi improntati alla massima trasparenza ed efficacia. Questi modelli servono a rendere leggibile il perseguimento delle attività di interesse generale e verificabile l’impatto sociale che le proprie attività hanno sui contesti, il corretto uso delle risorse, l’accertabilità delle attività realizzate per promuovere il bene comune, la coesione sociale e la cittadinanza attiva. Enti del Terzo settore, quindi, come “case di cristallo”.
Non mancano i punti critici, a partire dalla questione fiscale e l’auspicio che il registro unico nazionale del Terzo settore (Runts) sia davvero unico e nazionale. L'augurio è che sia realmente uno strumento nazionale che garantisca semplificazione, uniformità di indirizzi e di procedure, e che sia gestito dalle Regioni: il rischio da evitare è quello di trovarsi di fronte a un sistema fortemente disomogeneo, o peggio una vera e propria “torre di babele”.
Dobbiamo premettere che Anffas ha compiuto 63 anni di vita lo scorso 28 marzo. Nata storicamente in un tempo dove erano presenti poche forme di associazionismo organizzato, ha dovuto più volte adeguare la propria struttura al mutare delle varie previsioni normative. Dal 1997 in poi si è riconfigurata come una organizzazione nazionale a cui aderiscono le associazioni locali Anffas, ognuna indipendente dal punto di vista giuridico, gestionale e patrimoniale, e riconoscendo gli autonomi enti a marchio Anffas e gli organismi regionali, la fondazione nazionale “Dopo di noi” e il consorzio “la Rosa Blu”, quali parti dell’unitaria struttura associativa, così definita anche nel rispetto di quanto previsto dalla normativa Onlus. Anffas Nazionale ha, quindi, mantenuto per espressa previsione statutaria la titolarità della linea politica dell’intera associazione, la rappresentanza della stessa e la definizione e verifica degli standard per far parte dell’unitaria struttura associativa e dei relativi requisiti per utilizzare il marchio Anffas.
Le funzioni di raccordo politico e di rappresentanza sul territorio sono state, quindi, delegate agli organismi regionali rappresentativi delle associazioni locali socie. Tutto questo ha fatto sì che, nel tempo, Anffas, pur mantenendo sempre salda la compagine associativa di tipo familiare, si sia “popolata” di una pluralità di soggetti giuridici, pur sempre nel novero delle Onlus, in particolare associazioni di promozione sociale e di volontariato, associazioni Onlus, gruppi sportivi, fondazioni di gestione e di patrimonio, cooperative sociali di tipo “A” e di tipo “B”, enti di promozione sportiva, imprese sociali, consorzi. La riforma ha apportato un grande cambiamento per quanto riguarda l’assetto associativo, ricomponendo tutte queste variegate forme all’interno dell’unico contenitore degli “Ets”. Ognuno dei singoli enti rispetto alla pregressa configurazione e forma giuridica ha effettuato, quindi, una attenta verifica dell’esatta nuova collocazione all’interno delle diverse sezioni previste dal Runts, adeguando i propri statuti nel rispetto degli schemi-tipo predisposti da Anffas nazionale e condivisi con l’intera base associativa attraverso un percorso partecipativo.
L’intero percorso di riassetto è stato caratterizzato dalla pressoché unanime e convinta condivisione dei valori posti a base del nuovo Terzo settore italiano: come sancito dagli art. 1 e 2 del decreto 117, perseguire il bene comune, elevare i livelli di cittadinanza attiva e di coesione e protezione sociale, favorire la partecipazione democratica, l’inclusione ed il pieno sviluppo della persona promuovere la solidarietà, sussidiarietà e pluralismo. Valori questi pienamente condivisi da Anffas e in gran parte coincidenti con gli stessi valori fondanti e fortemente radicati nella nostra intera compagine associativa.
Prima di procedere a dare avvio alla modifica dell’intero assetto associativo per adeguarlo alle nuove previsioni della riforma del Terzo Settore, Anffas era, quindi, composta da 166 associazioni locali avente forma di Onlus tra le quali numerose iscritte nei registri regionali delle Odv ed alcune altre nei registri delle Aps. Inoltre nella compagine associativa risultavano presenti ed operanti 46 enti a marchio, tra cui fondazioni, cooperative sociali, gruppi sportivi, imprese sociali, consorzi di cooperative. Al termine della trasformazione dettata dalla riforma, la gran parte delle associazioni locali si è configurata principalmente come Aps in quanto la forma più aderente alle nuove previsioni normative, mentre solo poche hanno potuto mantenere la natura di Odv. Sempre in forza delle nuove regole imposte dalla riforma, ma anche per scelta associativa, maturata nel tempo, numerose sono state le associazioni che hanno deciso di separare le attività più prettamente legate alla promozione e tutela dei diritti e di rappresentanza associativa, da quelle più strettamente legate alla gestione di attività e servizi prestate in favore di persone con disabilità e loro familiari. La forma giuridica principalmente prescelta per le attività gestionali è stata la fondazione ma continuano ad essere presenti anche i pregressi enti che, come detto sopra sono costituiti da cooperative sociali di tipo “A” e “B”, imprese sociali, gruppi sportivi, consorzi di cooperative e da una fondazione di livello nazionale che va a configurarsi quale ente filantropico per promuovere e sostenere iniziative e progetti legati ai temi del “Durante e del Dopo di Noi”.
Inoltre, in ogni Regione è costituita una associazione locale che associa tutti gli enti aderenti ad Anffas del proprio territorio. A seguito di tale nuova configurazione tutti gli Ets afferenti ad Anffas, a vario titolo, entreranno a far parte della rete associativa nazionale. È prevista, inoltre, la possibilità di associarsi anche ad enti del Terzo settore esterni purché ne condividano principi e finalità e si impegnino a rispettare quanto prescritto dal codice di qualità ed autocontrollo (Cqa) contenente anche i livelli minimi di qualità per far parte della rete Anffas e per l’utilizzo del marchio associativo. In ogni caso, potranno aderire solo enti che risulteranno regolarmente iscritti nel Runts.
Per accompagnare questo impegnativo percorso di riassetto complessivo della compagine associativa Anffas ha realizzato sia specifici momenti di confronto ed attività formative ed informative, che ben 12 schemi statutari prevedendo tutte le varie ipotesi trasformative ed indicando le relative procedure e tempistiche da rispettare, in coerenza con le indicazioni pervenute dal Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali. Tali schemi sono stati anche sottoposti, come previsto dalla riforma, all’attenzione del ministero competente, auspicandone la prevista validazione anche in vista dell’entrata in vigore del Registro in modo da agevolare tale delicato passaggio.
L’articolo 5 del decreto legge 117 non è esattamente esaustivo della complessità delle attività che l’intero mondo del sociale realizza, da sempre, nel nostro Paese. Per questo, come espressamente previsto dalla legge di riforma, quanto prima auspichiamo che si proceda ad una sua implementazione. Anffas, si occupa prioritariamente di persone con disabilità intellettive e disturbi del neurosviluppo, di persone in condizione di fragilità e svantaggio sociale e dei loro familiari. Pertanto molte delle attività di interesse generale realizzate secondo la normativa risultano variegate anche se, tra di loro, concorrenti e trasversali. Il minimo comune denominatore comune a tutte le Anffas lo troviamo, senza alcun dubbio, nella lettera “w” del citato art. 5 dove si parla espressamente di “promozione e tutela dei diritti umani”. Come attività di interesse generale, invece, più strettamente riconducibili ai servizi Anffas, rientriamo senz’altro nella lettera “a” (la legge 328/2000, legge 104/97 e legge 112/2016), “b” (interventi e prestazioni sanitarie), “c” (prestazioni socio sanitarie) e “d” (attività educative, etc).
Anffas ha colto appieno il forte impegno che la riforma, in modo molto esplicito, richiede all’intero mondo del Terzo settore italiano, di dotarsi di nuovi strumenti di rendicontazione sociale. L’elemento reputazionale rappresenta un aspetto al quale l’intero Terzo Settore deve porre una attenzione particolare. Ciò non può riguardare solamente i singoli enti o reti (grandi, medie o piccole che siano) ma deve essere esigenza avvertita e condivisa dall’intero movimento. Abbiamo già visto, nel recente passato, come comportamenti non confacenti con il mondo che rappresentiamo – come nel caso di “Mafia capitale” – abbiano creato sconcerto non solo nel nostro mondo ma nell’intero paese e sollevato non pochi dubbi nella società civile, sulla presenza di possibili “aree grigie” che subdolamente e ad arte, nel tempo, si possono essere “infiltrate” nel Terzo settore senza averne nessuna reale caratteristica o peggio operando con modalità non trasparenti o ai limiti della legalità. Il Terzo settore vive e trova consenso e sostegno nella società e nelle istituzioni se è credibile, trasparente ed eticamente ineccepibile. Rispettare regole, norme e ispirarsi ai principi di efficienza e di efficacia deve rappresentare, in tale contesto, un “plus” a cui tendere e non un orpello a cui sottrarsi. L’autocontrollo e la qualità devono diventare una base sicura e matura di ogni ente di Terzo settore e di ogni persona che nel Terzo settore, a vario titolo, opera. Una onesta e credibile valutazione di impatto (mai autoreferenziale) sulle comunità in cui si interviene rispetto alle attività realizzate deve rappresentare la cartina al tornasole per attivare processi di miglioramento ed innalzare il proprio livello di efficacia anche in termini di corretto uso delle risorse. Il bilancio sociale è la rappresentazione concreta, semplice ed intellegibile che riassume e rende pubblici questi elementi, evitando di riprodurre i classici elaborati spesso molto accattivanti dal punto di vista grafico e di pregio nel loro confezionamento estetico ma scarsamente utili per le finalità che oggi la riforma e le stesse linee guida sulla redazione dei “nuovi” bilanci sociali richiedono. “Fare bene il bene” significa anche saperlo ben rendicontare e raccontare. Questo aiuterà a separare ulteriormente il “grano dal loglio”, a mantenere attivi gli storici donatori ma, soprattutto, ad attrarne di nuovi, così da poter sempre meglio contribuire, in modo molto più veloce, ad affrancare dalle aree del bisogno, della marginalità, della deprivazione ed esclusione sociale, milioni di cittadini e cittadine, in Italia, in Europa e nel mondo. D'altronde non dovrebbe essere proprio questo il fine primo ed ultimo dell’intero nostro movimento?
In tale contesto affermo, senza alcuna enfasi, che Anffas risulterebbe essere la prima ed unica rete associativa che ha avviato – anche in fase avanzata – la definizione del proprio codice di qualità ed autocontrollo, secondo quanto indicato dal Forum Nazionale del Terzo Settore sia a livello statutario che con le apposite linee guida. L’auspicio è che, al più presto, a partire dalle grandi reti nazionali, si possa condividere questo grande cantiere, vivendo il tutto non già come l’ennesimo adempimento ma come una grande opportunità per ripensarci dall’interno e ripensare l’intero Terzo settore, e per affrontare le nuove e complesse sfide che ci attendono, anche all’esito della terribile esperienza pandemica, le cui conseguenze non sono forse ancora neppure immaginabili.
In merito all’elaborato che il comitato tecnico scientifico di Anffas Nazionale sta implementando, possiamo già anticipare che lo stesso parta proprio dall’evidenziare, innanzitutto, gli aspetti valoriali, soprattutto quelli interni, per arrivare a toccare poi tutti gli altri aspetti che possano tornare utili a coloro che ne dovranno curare l’attuazione pratica, in modo da verificare e riallineare costantemente l’agire associativo con i principi fondanti, con i valori di riferimento e con i modelli organizzativi, operativi e gestionali che si è deciso di adottare.
Il tutto deve risultare leggibile e riscontrabile da parte di associati, stakeholders, donatori, enti pubblici e da tutti coloro con i quali, a vario titolo, ci si relaziona. La principale difficoltà, non ancora del tutto risolta, registrata in questa prima fase della costruzione del Cqa, è data dal contemperare la complessità insita nello stesso con la necessità di rendere il tutto di facile lettura e semplice attuazione.
Tutto ciò porta con sé anche la necessità di rivedere i processi interni, le modalità di tenuta delle scritture contabili e la stessa redazione dei bilanci. Anffas ha attivato proprio in questi giorni un apposito modulo formativo per addentrarsi ulteriormente in questi meandri. Occorre infatti trovare le modalità per correlare le risorse impiegate per il concreto perseguimento delle attività di interesse generale, e indicare e sostanziare le eventuali attività diverse o quelle realizzate in modalità commerciale. Su tali aspetti non ci viene in aiuto il ritardo, ormai cronico, sugli attesi chiarimenti sul regime fiscale. Non ci fa stare tranquilli neanche il perseverare nel mantenere l’attuale impostazione fiscale, oggi incentrata su un aspetto soggettivo quale è la natura giuridica degli enti di Terzo settore (discutibile anche sotto il profilo della sua legittimità costituzionale). Sarebbe piuttosto auspicabile un’impostazione che guardi, invece, alle attività degli enti. Trattandosi di attività di interesse generale svolte senza fine di lucro in favore di cittadini in condizioni di svantaggio sociale, esse assumono neutralità fiscale e quindi scongiurano il pericolo che l’ente di Terzo settore che le svolge si ritrovi, suo malgrado, ad assumere lo status di ente commerciale con tutto ciò che ne consegue.
Questo è indispensabile anche per dare concreta attuazione ai nuovi istituti della co-programmazione e della co-progettazione che inaugura un nuovo modo di interpretare il rapporto tra la pubblica amministrazione e gli enti del Terzo settore. Non basta, infatti, invocare l’auspicio che a regolare i rapporti sia il principio di amministrazione condivisa, ma occorre che tale modalità sia accompagnata da un percorso di consapevolezza, condivisione e formazione che veda coinvolti tanto la pubblica amministrazione, quanto il Terzo settore. Anzi sarebbe auspicabile che tale percorso venisse fatto in modo congiunto.
Devo dire che ha avuto un impatto rilevante. Ha spinto Anffas Nazionale a ripensarsi e configurarsi come rete associativa ed allo stesso tempo ha portato tutte le strutture associative del territorio a rimodularsi, molto spesso modificando i propri precedenti assetti e separando le attività più propriamente di natura associativa da quella gestionale. Ma il primo è più significativo cambiamento è certamente quello culturale. Non è stato facile - e il percorso non è ancora per nulla compiuto né scontato - ripensarsi nella nuova accezione di Terzo Settore e, soprattutto, spiegarne alla base associativa la portata innovativa, dovendo fare i conti, nel contempo, con la sua complessità. Le difficoltà sono aggravate anche da periodo pandemico che hanno costretto tutti quanti a svolgere le assemblee a distanza con tutto ciò che ne consegue. Comunque il livello generale di consapevolezza, collaborazione e condivisone è stato molto alto e ci possiamo dichiarare molto soddisfatti di quanto fin qui realizzato e della positiva risposta della nostra compagine associativa.
Questo è il grande punto oscuro della riforma. Se non si avrà il coraggio e la lungimiranza di abbandonare definitivamente la precedente previsione per andare verso un assetto più semplice e meno penalizzante, soprattutto per le forme associative di Aps e Odv, nel prossimo futuro si potrebbe addirittura assistere ad un autentico tracollo di migliaia di enti che da sempre garantiscono primarie risposte e servizi a larghe fasce di popolazione in condizione di svantaggio. Chi sarà chiamato a colmare tale vuoto? Lo farà direttamente il pubblico? I soggetti che amano definirsi come operatori del settore dell’economia sociale o, piuttosto, tutto questo è ambìto da un sempre più aggressivo settore “profit” che vede nelle attività legate ai servizi alla persona una grande opportunità per aumentare i loro profitti? Per quanto riguarda Anffas tutto questo sarebbe drammatico per le conseguenze sul territorio sulle oltre 30mila persone che ogni giorno afferiscono alle proprie attività e servizi, sui posti di lavoro di oltre 5mila operatori e sulle migliaia di volontari, di cui molti familiari, che con impegno e dedizione garantiscono dignità, diritti e qualità di vita alle persone con disabilità.
Noi siamo pronti e tutti gli statuti sono stati adeguati. Quando il registro sarà attivo procederemo all’iscrizione. Speriamo con tutto il cuore che questo ritardo sia servito per renderlo semplice, pienamente operativo e per formare gli uffici regionali evitando la consueta “torre di babele” a cui spesso assistiamo tra i diversi sistemi regionali. Questo creerebbe ulteriori difficoltà all’intero Terzo settore e farebbe venir meno la stessa “ratio” di un registro unico nazionale.