Ivie e Ivafe sono due imposte “nuove” che, a partire dal 2020, impattano nei bilanci degli enti non commerciali che detengono immobili o disponibilità finanziarie all’estero. Ma il loro effetto lo conosceremo nel prossimo giugno 2021, soprattutto per le Ong
Articolo pubblicato su FiscoSport il 17 dicembre 2020
Passato quasi sotto silenzio l’anno scorso, l’allargamento della platea dei soggetti incisi dal prelievo per Ivie e Ivafe, si manifesterà a carico del bilancio d’esercizio 2020 anche per gli enti non commerciali e, al momento, non c’è alcuna norma agevolativa prevista per gli enti del Terzo settore (Ets).
Pertanto, salvo sorprese dell’ultimo momento, l’imposta sul valore degli immobili situati all’estero (Ivie) e l’imposta sul valore delle attività finanziarie detenute all’estero (Ivafe) sono dovute da tutti gli enti non commerciali senza alcuna distinzione/esenzione.
Questo significa che saranno incise per esempio le organizzazioni non governative che, ancorché Onlus e prossimamente Ets, in Italia non scontano l’imposta di bollo sui conti correnti.
Saranno altresì colpiti gli immobili che sono utilizzati per fini istituzionali nei Paesi in via di sviluppo.
Vediamo il funzionamento delle due imposte.
L’Ivie è disciplinata dall’art. 19, commi 13-17 del decreto legge 201/2011.
I soggetti passivi sono:
L’oggetto dell’imposta sono gli immobili (terreni e fabbricati) posseduti all’estero o detenuti in forza di un contratto leasing o, come si precisa nella circolare Agenzia delle entrate n. 28/E del 02/07/2012 nei Paesi di common law posseduti a titolo di leasehold.
È costituita dal valore dell’immobile che risulta dall’atto di acquisto o da altri contratti dai quali risulta il costo complessivo sostenuto per l’acquisto dei diritti reali diversi dalla proprietà.
Se l’immobile è stato costruito, si fa riferimento al costo di costruzione sostenuto risultante dalle scritture contabili.
In mancanza si dovrebbe utilizzare il valore di mercato rilevato nel luogo in cui insiste l’immobile al termine di ciascun anno solare di riferimento.
Se gli immobili sono situati nei Paesi dell’Unione europea o nei Paesi che aderiscono allo Spazio economico europeo (See) che garantiscono un adeguato scambio di informazioni, il valore da utilizzare è quello catastale determinato e rivalutato nel Paese in cui l’immobile è situato e utilizzato ai fini delle imposte che colpiscono lo stesso immobile in quel Paese.
All’interno della stessa circolare è riportato un utile schema che guida alla determinazione del valore di riferimento degli immobili in questione.
Per gli enti non commerciali l’aliquota è pari allo 0,76% del valore degli immobili come sopra determinato. L’imposta è annuale e deve essere versata in occasione dei versamenti delle imposte annuali di I.Re.S. e I.R.A.P., acconti compresi.
L’Ivafe è disciplinata dall’art. 19 commi 18-23 del decreto legge 201/2011.
I soggetti passivi sono
L’imposta si applica a:
Per prodotti finanziari si intendono:
La base imponibile è così costituita:
L’aliquota è stabilita nel 2 per mille e, se il soggetto è diverso da una persona fisica, l’imposta dovuta non può superare i 14.000 euro/anno.
Se oggetto dell’imposta sono conti correnti o libretti di risparmio detenuti all’estero, l’imposta è pari a 34,20 euro per le persone fisiche e 100 euro per i soggetti diversi.
Sono esenti i rapporti con un valore medio di giacenza annua non superiore a 5.000 euro.
Al di là delle considerazioni di incostituzionalità che sono state svolte da Antonio Viotto nel fascicolo n. 3/2016 della Rivista Trimestrale di Diritto Tributario, in questa sede vale la pena sottolineare il fatto che alcuni enti non commerciali che operano all’estero saranno profondamente incisi dalle imposte di cui sopra nonostante si tratti di immobili o attività finanziarie che, in Italia, semplicemente non sarebbero tassati in virtù delle norme agevolative di cui godono.
È sufficiente pensare alle organizzazioni non governative o alle organizzazioni della società civile e gli altri soggetti senza finalità di lucro (definizione ex art. 26, legge 190/2014) che in quanto (oggi) Onlus e prossimamente ETS godono:
Si tenga presente che uno dei motivi per i quali sono state introdotte la Ivie e la Ivafe è stato proprio quello di parificare la tassazione interna a quella che gli stessi beni, ma detenuti/posseduti all’estero, avrebbero potuto aggirarla, seppure con qualche differenza per quanto riguarda gli immobili.
Ora il problema si pone per gli enti non commerciali che all’estero operano istituzionalmente e regolarmente con attività basate su contributi ricevuti da organismi internazionali e/o da erogazioni liberali.
Si pensi a una Ong che istituzionalmente apre rapporti di conto corrente spesso “agganciati” a precisi programmi di cooperazione internazionale e che talvolta sono soggetti a prelievi all’ingresso perché lo Stato ospite è “a caccia” di valuta pregiata.
In alcuni scenari si arriva a usare il trasporto di valuta per quanto questo strumento sia spesso pericoloso.
Oppure a quelle organizzazioni che costruiscono e gestiscono ospedali nei Paesi in via di sviluppo o in zone di guerra.
In sostanza la IVIE andrebbe a colpire immobili
Eppure, per quanto di nostra conoscenza, non si hanno notizie di proposte di modifica in favore delle Onlus o degli Ets che da tempo, mediante la compilazione obbligatoria del quadro RW del modello Enc, comunicano la consistenza dei beni all’estero e quindi l’ammontare del loro importo.
È opinione di chi scrive che lo strano silenzio sull’argomento sia dovuto probabilmente alla mancanza di percezione dell’entità del prelievo fiscale che, nel prossimo giugno, arriverà a manifestarsi in tutta la sua gravità: si pensi all’IVIE dovuta sul costo di costruzione di un ospedale di alcuni milioni di euro.