Cosa prevede il Codice del Terzo settore negli accordi tra enti pubblici e organizzazioni di volontariato e associazioni di promozione sociale
Il nuovo art. 56 del Codice del Terzo settore prevede che le amministrazioni pubbliche possono sottoscrivere con le organizzazioni di volontariato e le associazioni di promozione sociale, iscritte da almeno sei mesi nel registro unico nazionale del Terzo settore (Runts), convenzioni finalizzate allo svolgimento in favore di terzi (quindi, non degli associati) di attività o servizi sociali di interesse generale, a condizione che tali convenzioni si rivelino – secondo la formulazione del legislatore – “più favorevoli rispetto al ricorso al mercato”.
In primo luogo, la legge limita la possibilità della pubblica amministrazione di concludere convenzioni con le sole Odv ed Aps. Si tratta di enti del Terzo settore che si avvalgono prevalentemente dell’attività dei propri associati-volontari: in essi, infatti, vi è una impronta di tipo solidaristico più marcata rispetto agli altri Ets, che il legislatore ha inteso valorizzare, ammettendo a questa possibilità solo gli enti in possesso di questa qualifica. Si ricordi che, per altro verso, nelle Odv e nelle Aps il ricorso a lavoratori dipendenti, autonomi o di altro tipo è ammesso solo entro limiti specifici (art. 33 per le Odv; art. 36 per le Aps). Ciò emerge con chiarezza dalle linee guida sul rapporto tra pubbliche amministrazioni ed enti del Terzo settore (dm n. 72 del 2021).
Questo elemento incide anche sul contenuto della convenzione – come si vedrà – poiché l’art. 56, c.4 esige che sia precisato “il contenuto e le modalità dell'intervento volontario, il numero e l'eventuale qualifica professionale delle persone impegnate nelle attività convenzionate, le modalità di coordinamento dei volontari e dei lavoratori con gli operatori dei servizi pubblici, le coperture assicurative”.
Le Odv e le Aps debbono essere iscritte da almeno sei mesi al Runts. Il lasso di tempo richiesto serve ad attestare un minimo di operatività, al fine di evitare che si tratti di enti costituiti al solo scopo di partecipare alla selezione. In attesa della piena operatività del Runts, “il requisito dell'iscrizione al Registro unico nazionale del Terzo settore previsto dal presente decreto, si intende soddisfatto da parte (…) degli enti del Terzo settore attraverso la loro iscrizione ad uno dei registri attualmente previsti dalle normative di settore” (art. 101, c.3).
Le convenzioni possono richiedere altri requisiti di partecipazione, ma tali requisiti debbono essere connessi alla tipologia di attività o servizi sociali di interesse generale da svolgere (ad es., un minimo di esperienza o di qualificazione nel settore interessato). Non è ammissibile, quindi, che siano introdotti requisiti privi di tale connessione, al solo scopo di escludere taluni enti o di favorirne altri (ad es., il possesso del riconoscimento della personalità giuridica).
In secondo luogo, l’art. 56 del Codice del Terzo settore prevede una limitazione dell’ambito oggettivo alle sole attività o servizi sociali di interesse generale. Si tratta, quindi, di un ambito più ristretto rispetto a quanto previsto dall’art. 5 del Codice del Terzo settore (che enuncia le attività di interesse generale degli Ets), da interpretare sia alla luce del diritto interno (legge n. 328 del 2000 e delle leggi regionali che hanno disciplinato la materia), sia nella prospettiva, ben più ampia e comprensiva, tracciata dal diritto dell’Unione europea (COM(2006), Attuazione del programma di Lisbona: i servizi sociali d’interesse generale nell’Unione). Una siffatta limitazione oggettiva – richiesta dal parere del Consiglio di Stato sullo schema di decreto legislativo (n. 1405/2017) – mira a “restringere” l’area del ricorso alle convenzioni, senza che se ne comprenda, fino in fondo, la motivazione.
La legge n. 266 del 1991 e la legge n. 383 del 2000 – oggi abrogate – non prevedevano una delimitazione dell’ambito di applicabilità delle convenzioni.
Il Codice del Terzo settore, infatti, individua un ambito di attività di interesse generale ben più ampio di quello riferito alle sole attività o servizi sociali di interesse generale.
Inoltre, i servizi o le attività debbono essere svolti “in favore di terzi” (art. 56, c.1). Ciò significa che le convenzioni non possono essere stipulate al fine di soddisfare bisogni o interessi facenti capo agli associati dell’Odv o dell’Aps che le stipulano dovendo essere, invece, realizzati a favore di soggetti esterni. Si tratta di una prescrizione che escluderebbe l’applicazione dell’art. 56 del Codice del Terzo settore a tutte quelle Odv e Aps che svolgano attività – come consentito dal Codice stesso – oltre che per i terzi anche per i propri associati e per i loro familiari (ad es., si pensi all’ambito della disabilità). In concreto, è spesso difficile distinguere il confine. Un’interpretazione plausibile pare essere quella di ritenere che debbano essere escluse le convenzioni che riservano, in via esclusiva, lo svolgimento dell’attività o del servizio ai soli associati dell’Odv e dell’Aps o che contemplano l’instaurazione di un rapporto associativo come condizione di accesso alle medesime attività o servizi.
Quanto al procedimento di individuazione dei soggetti con cui stipulare la convenzione, il Codice afferma che deve essere assicurato il rispetto dei principi di imparzialità, pubblicità, trasparenza, partecipazione e parità di trattamento, mediante procedure comparative “riservate” a Odv e Aps. Ciò significa che la pubblica amministrazione dovrà applicare quanto previsto dalla legge n. 241 del 1990, individuando requisiti e modalità di partecipazione in grado di valorizzare il contributo che Odv e Aps possono offrire per la realizzazione delle attività e dei servizi sociali di interesse generale.
Il legislatore indica alcuni standard di trasparenza, quali la pubblicazione sui siti di ciascuna pubblica amministrazione procedente degli atti di indizione dei procedimenti e dei relativi provvedimenti finali, in aggiunta alla pubblicazione nelle rispettive sezioni web “amministrazione trasparente”, con l’applicazione delle disposizioni relative al decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33.
Il legislatore indica, inoltre, alcuni criteri di valutazione delle candidature presentate. In particolare, il Codice del Terzo settore richiede di valutare il possesso da parte degli enti dei requisiti di moralità professionale e la dimostrazione di un’adeguata attitudine “da valutarsi in riferimento alla struttura, all'attività concretamente svolta, alle finalità perseguite, al numero degli aderenti, alle risorse a disposizione e alla capacità tecnica e professionale, intesa come concreta capacità di operare e realizzare l'attività oggetto di convenzione, da valutarsi anche con riferimento all'esperienza maturata, all'organizzazione, alla formazione e all'aggiornamento dei volontari”. Trattandosi di criteri di valutazione, le pubbliche amministrazioni procedenti, nella stesura degli atti di indizione, dovranno richiedere un’adeguata e ragionevole documentazione del possesso di tale attitudine e dei criteri di valutazione in grado di “premiare” la capacità degli enti di portare un contributo alla realizzazione dell’interesse generale.
L’art. 56, c. 4 detta una disciplina dei contenuti essenziali delle convenzioni. In particolare, esse devono contenere:
Sotto quest’ultimo aspetto, quindi, le convenzioni possono prevedere esclusivamente il rimborso delle spese effettivamente sostenute e documentate. Ciò significa – in primo luogo - che è esclusa la previsione di qualsiasi corrispettivo per lo svolgimento dell’attività o del servizio e che, per altro verso, è possibile che tale rimborso non sia neppure previsto (la legge, infatti, afferma che le convenzioni “possono” – e non che “devono” – “prevedere [...] il rimborso [...] delle spese effettivamente sostenute e documentate”).
Si precisa, inoltre, che deve osservarsi il “principio dell’effettività” delle spese. Risulta così esclusa ogni forma di rimborso forfettario e – come precisa la legge - di qualsiasi attribuzione a titolo di maggiorazione, accantonamento, ricarico o simili, e con la limitazione del rimborso dei costi indiretti alla quota parte imputabile direttamente all’attività oggetto della convenzione. La ratio comune di queste previsioni è evitare che alle Odv e alle Aps che stipulano una convenzione possano essere attribuite, in vario modo, risorse in eccedenza rispetto a quelle necessarie. Debbono così essere definiti criteri che consentano di ricondurre specificamente il costo allo svolgimento dell’attività o del servizio, al fine di escludere l’onerosità della convenzione. A tal proposito le linee guida sul rapporto tra pubbliche amministrazioni ed enti del Terzo settore precisano che “con riferimento alla rendicontazione delle spese e dei costi sostenuti, si ritiene che possa essere considerata, quale prassi tuttora valida, la circolare n. 2 del 2 febbraio 2009 del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali”.
Fra i costi indubbiamente ammessi al rimborso ci sono quelli assicurativi (art. 18, c.3 del Codice del Terzo settore). Si prevede, infatti, che “la copertura assicurativa è elemento essenziale delle convenzioni tra gli enti del Terzo settore e le amministrazioni pubbliche, e i relativi oneri sono a carico dell'amministrazione pubblica con la quale viene stipulata la convenzione”.
In questo modo, il legislatore intende assicurare che la convenzione assicuri (anche) un contributo all’efficienza dei bilanci pubblici. A fronte dell’effettuazione di un servizio sociale di interesse generale, ciò che può essere corrisposto a carico della finanza pubblica, al massimo, equivale all’importo delle sole spese effettivamente sostenute e documentate.
L’aspetto più problematico dell’art. 56 del Codice del Terzo settore risiede nella prescrizione di verificare, da parte delle pubbliche amministrazioni, che il ricorso alle convenzioni risulti “più favorevole rispetto al ricorso al mercato”. Si tratta di una locuzione inserita su richiesta del Consiglio di Stato in sede di espressione del parere sullo schema di decreto legislativo al fine di enucleare – così si legge nel parere – il “giusto punto di equilibrio” fra “la tutela della concorrenza [quale] principio euro-unitario cui deve uniformarsi sia l’attività legislativa sia quella amministrativa di ciascuno Stato nazionale” ed il “favor” espresso dal principio di sussidiarietà orizzontale.
Una lettura condivisibile della prescrizione induce a ritenere che non si tratti di una mera valutazione economica di riduzione dei costi gravanti sulla pubblica amministrazione (che, in quanto tale, comporterebbe la ricerca di un mercato col quale comparare le attività svolte dalle Odv e le Aps in convenzione: invece, in questa direzione, che qui non si condivide, Tar Marche, sez. I, 7 dicembre 2021, n. 850). Si deve ritenere che la pubblica amministrazione debba verificare l’effettiva capacità delle convenzioni di conseguire gli obiettivi di solidarietà, accessibilità e universalità che la giurisprudenza euro-unitaria ha evidenziato come fondamento della disciplina. Di tale verifica, la componente economica è solo uno degli elementi da considerare, ma non l’unico. Diversamente, infatti, si dovrebbe ritenere che questa misura di promozione del Terzo settore possa trovare applicazione esclusivamente laddove essa determini un risparmio per la finanza pubblica, in possibile contrasto col disposto dell’ultimo comma dell’art. 118 della Costituzione (la sussidiarietà non si attiva solo a condizione che sia più economica!).
Il “maggior favore rispetto al mercato” richiede quindi che la pubblica amministrazione svolga una valutazione complessiva sugli effetti finali del ricorso ad una convenzione rispetto all’applicazione della disciplina di diritto comune per l’affidamento dei servizi sociali, con particolare riferimento all’ampliamento della platea dei destinatari, al livello qualitativo del servizio, agli effetti di integrazione sociale ed alla sollecitazione dell’attivismo civico. Fondamentale è l’aspetto della motivazione, anche in questo caso: spetta alla pubblica amministrazione rendere evidenti le ragioni che hanno supportato tale valutazione.
Tale conclusione è sostenuta espressamente, oggi, dalle linee guida sul rapporto tra pubbliche amministrazioni ed enti del Terzo settore (paragrafo 4) e dalla legge regionale Toscana 65 del 2020, la quale – sebbene limitatamente al territorio regionale – afferma espressamente che “il maggior favore rispetto al mercato è valutato, oltre che con riferimento alla convenienza economica, anche in relazione ai maggiori benefici conseguibili per la collettività in termini di maggior attitudine del sistema a realizzare i principi di sussidiarietà, universalità, solidarietà, accessibilità, adeguatezza (…)” (art. 15, c.3 legge regionale n. 65 del 2020).