Amministrazione condivisa: l’assegnazione dei beni pubblici agli enti del Terzo settore

Nell’affidamento da parte della pubblica amministrazione possono verificarsi situazioni particolari, come il coinvolgimento di imprese sociali o la realizzazione di attività a valenza economica che necessitano di interventi di medio periodo per essere sostenibili. Alcune considerazioni sul tema

Articolo di approfondimento (2 di 3) pubblicato su Welforum.it il 28 febbraio 2022

Nei due precedenti contributi (I rapporti di collaborazione tra enti pubblici ed enti del Terzo settore: l’utilizzo e la valorizzazione dei beni pubblici e Collaborazione tra enti pubblici ed enti del Terzo settore: l’utilizzo e la valorizzazione dei beni pubblici. Il comodato e le procedure di assegnazione) si è analizzato il quadro normativo delineato dall’art. 71, commi 1 e 2 del codice del Terzo settore, che ha permesso di evidenziare lo “spazio di manovra” degli enti pubblici nell’individuazione dei beni pubblici che gli enti del Terzo settore (Ets) possono gestire.

Alla luce delle previsioni normative contenute nell’art. 71 del dlgs n. 117/2017, di seguito, si intende esaminare una possibile situazione che le pubbliche amministrazioni potrebbero trovarsi ad affrontare. Situazione che potrebbe anche non prevedere l’applicazione dell’art. 71, ma una combinazione di procedure.

Ipotizziamo che un comune intenda coinvolgere i soggetti di Terzo settore nello sviluppo di una progettualità, che, contestualmente, sia a valenza sociale, culturale e aggregativa nell’ambito di uno spazio pubblico (immobile, parco, ecc.). Nel caso di specie, gli Ets che potrebbero essere coinvolti ricomprendono diverse tipologie giuridiche soggettive, ivi comprese le imprese sociali. I progetti ipotizzati contemplano sia attività estranee allo scambio economico, sia attività a valenza economica (es. un bar da aprire e gestire nello spazio pubblico), che concorrono alla sostenibilità nel medio periodo dell’intera operazione.

Per quanto attiene agli interventi da realizzarsi da parte degli Ets, essi possono comprendere anche interventi da realizzare sull’immobile (es. ristrutturazioni) a carico degli Ets e che richiedono l’attivazione di un rapporto giuridico di medio-lungo periodo per essere sostenibili. In questa prospettiva, pertanto, si pone la questione relativa all’identificazione e qualificazione giuridica sia dei rapporti relativi alle attività da svolgere sia di quelli relativi alla tipologia contrattuale da impiegare per assegnare l’immobile agli Ets.

Delineato lo scenario, in primo luogo, sembra possibile affermare che la fattispecie sopra descritta esuli dalla sfera di applicazione dell’art. 71, in quanto essa presenta profili di integrazione con attività diverse (rectius: economiche) dal mero utilizzo del bene pubblico sia per la presenza di imprese sociali, espressamente escluse dagli Ets beneficiari delle previsioni di cui all’art. 71 medesimo. È opportuno richiamare che l’art. 71 disciplina la messa a disposizione di beni pubblici a favore degli Ets per lo svolgimento delle loro attività istituzionali, che non presentano alcuna componente economica né tantomeno progettuale. Si pensi, ad esempio, ad un’associazione che nell’immobile di proprietà del comune svolge un’attività di doposcuola rivolta ai bambini di famiglie straniere. In questo caso, l’Ets non è chiamato a presentare uno specifico progetto al fine di utilizzare l’immobile. Tuttavia, l’ente pubblico è tenuto a verificare e dimostrare che quell’attività risulti vantaggiosa per il territorio e che, quindi, la scelta di rendere disponibile all’associazione un locale in un immobile comunale è adeguatamente motivata.

Se, dunque, l’art. 71 non risulta applicabile, quale opzione può essere individuata per l’ente pubblico? Si potrebbe ricorrere all’art. 55 del codice del Terzo settore (Cts) e collocare la fattispecie in oggetto nell’ambito di un procedimento di co-progettazione? È ipotizzabile che si applichino diversi riferimenti normativi, che combinati tra loro potrebbero conseguire l’obiettivo di coinvolgere attivamente – come recita proprio l’art. 55, dlgs n. 117/2017 – gli Ets nella progettazione e gestione dello spazio pubblico, permettendo agli stessi enti di svolgere un’attività economico-imprenditoriale finalizzata a garantire la sostenibilità del progetto?

Si ritiene dunque di collocare la progettualità in parola nell’ambito del percorso di co-progettazione ex art. 55 Cts, il cui obiettivo rimane quello di definire una modalità condivisa tra Ets ed ente locale per la realizzazione di attività di interesse generale, che ricomprendono anche alcune attività di natura imprenditoriale, per il cui perseguimento l’ente pubblico mette a disposizione degli Ets un immobile di sua proprietà.

Tuttavia, al fine di comprendere la piena applicabilità dell’art. 55 alla fattispecie in argomento è opportuno affrontare alcune questioni, che possono risultare impeditive ad un efficace percorso di co-progettazione.

In primis, occorre verificare se l’ente locale ha adottato un regolamento che disciplini la concessione degli immobili. In caso di risposta positiva, è necessario valutare se tale regolamento preveda anche tipologie analoghe o similari a quella in oggetto, in quanto una sua adozione risalente potrebbe non contemplare la fattispecie ipotizzata.

In secondo luogo, poiché la ragione per la quale l’ente locale metterebbe a disposizione l’immobile risiede in un suo utilizzo anche a fini economici, l’ente pubblico, al fine di non incorrere in censure da parte della magistratura contabile, è chiamato a svolgere le opportune verifiche in ordine alla remunerazione economica che può derivare dall’utilizzo dell’immobile da parte degli Ets. Nel contesto così delineato, pertanto, l’ente locale dovrà “dotarsi” degli atti politici prodromici (delibera di giunta), cui dovranno seguire gli atti amministrativi del dirigente, i quali dovranno contenere le motivazioni adeguate che giustificano l’eventuale scelta di non esigere canoni di mercato.

In terzo luogo, muovendo dall’assunto di attivare una fase di co-progettazione, l’ente locale è chiamato a configurare in modo adeguato all’interno del budget di progetto le seguenti voci:

  1. la disponibilità dell’immobile;
  2. le risorse ricavate dal partenariato con gli Ets che deriveranno dallo svolgimento delle attività economiche all’interno dell’area/spazio/immobile di proprietà pubblica;
  3. le eventuali altri fonti di finanziamento (es. dalle fondazioni bancarie e da bandi europei) che anche l’ente locale può impegnarsi a reperire;
  4. l’accesso al credito agevolato per gli Ets (cfr. art. 71, comma 4).

La procedura in oggetto richiede, sempre e comunque, una valutazione comparativa tra le diverse proposte progettuali e, quindi, di utilizzo del bene pubblico che gli Ets saranno in grado di sottoporre all’esame dell’ente locale. Rimane ferma altresì la possibilità di ipotizzare una gestione “coordinata” da parte di più Ets, i quali potrebbero essere chiamati ad impegnarsi in rete all’organizzazione, gestione ed erogazione delle attività oggetto dell’utilizzo del bene pubblico.

L’esempio sopra riportato permette di comprendere come l’art. 71 del Cts abbia una sfera applicativa limitata ai casi in cui attraverso l’utilizzo del bene di proprietà pubblica l’Ets si assicura lo svolgimento di una propria attività istituzionale. Per contro, quando l’ente locale intenda ipotizzare un utilizzo del bene pubblico per progettualità che coinvolgono sia lo sfruttamento adeguato del bene medesimo sia la valorizzazione e il sostegno ad attività di interesse generale occorre, necessariamente, fare ricorso agli istituti giuridici di cooperazione previsti nell’art. 55 Cts.

Rimane pur sempre l’opzione del contratto di concessione: nell’ambito delle procedure ad evidenza pubblica di cui al dlgs n. 50/2016, l’ente locale seleziona il soggetto concessionario, al quale impone, da un lato, una serie di obbligazioni ed oneri funzionali all’utilizzo del bene pubblico e, dall’altro, può riconoscere un canone agevolato, in ragione degli investimenti che il concessionario è tenuto ad effettuare per una adeguata riqualificazione del bene pubblico.

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