Pubblicate le indicazioni sui due rami previsti dalla riforma del Terzo settore, in particolare sulla segregazione patrimoniale: i beni che compongono quello destinato devono essere indicati nel regolamento
La Cei, Conferenza episcopale italiana, Ufficio nazionale per i problemi giuridici Terzo settore, ha pubblicato sul proprio sito i “Modelli di regolamento per la costituzione di un “ramo” ente del Terzo settore o impresa sociale e per l’atto di adozione del regolamento e costituzione del patrimonio destinato”.
In particolare la documentazione ricomprende:
Nella nota di accompagnamento viene spiegato che i documenti pubblicati costituiscono l’esito del lavoro compiuto dal “Tavolo Terzo settore” istituito dalla Conferenza episcopale italiana insieme all’Unione superiore maggiori italiani e alla Conferenza italiana dei superiori maggiori.
La finalità del lavoro, continua la nota, è quella di fornire un modello per la redazione del regolamento necessario per l’adesione degli enti ecclesiastici italiani alle previsioni della riforma del Terzo settore contenute nel dlgs 117/2017 - codice del Terzo settore e nel dlgs 112/2017 - decreto sull’impresa sociale.
La riforma del Terzo settore ha introdotto alcune rilevanti disposizioni in tema di enti religiosi civilmente riconosciuti, superando il modello in precedenza stabilito in via esclusiva per le Onlus (art. 10, comma 9, dlgs 460/1997).
È infatti previsto che laddove gli enti religiosi civilmente riconosciuti svolgano attività di interesse generale, possono beneficiare del regime promozionale per gli enti del Terzo settore (Ets) e per le imprese sociali al ricorrere di tre requisiti:
Gli enti religiosi, come già previsto nel regime Onlus, possono dunque accedere alla riforma solo parzialmente, mediante la costituzione di un ramo e adottando un regolamento che recepisca le disposizioni del codice del Terzo settore o del decreto sull’impresa sociale, nonché destinando un patrimonio allo svolgimento delle attività di interesse generale. È inoltre stabilito che gli enti religiosi mantengano le scritture contabili separate.
La stessa normativa stabilisce il necessario rispetto delle finalità di religione e di culto e della struttura degli enti in questione, la quale è disciplinata dall’ordinamento confessionale di riferimento (per una disamina degli enti religiosi civilmente riconosciuti nella Riforma del Terzo settore si rimanda all’approfondimento “Gli enti religiosi e la riforma”).
L’intervento della Cei risponde dunque all’esigenza di fornire indicazioni a tutti quegli enti che possono essere potenzialmente interessati agli effetti della riforma del Terzo settore. Si tratta in particolare degli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti così come individuati dalla legge 20 maggio 1985, n. 222 in materia di “Disposizioni sugli enti e beni ecclesiastici in Italia e per il sostentamento del clero cattolico in servizio nelle diocesi”.
Si deve ricordare che i principi generali dell’ordinamento italiano fanno sì che per le attività degli enti ecclesiastici, diverse da quelle di religione e di culto, le norme pattizie subordinano l’applicabilità della legge italiana al rispetto della struttura e delle finalità di tali enti, proprio in considerazione della loro specificità e autonomia.
In tale contesto, la determinazione legislativa della fattispecie del “ramo” determina la preminenza della disciplina canonica in ordine alle regole su gestione e controllo con la garanzia di poter chiaramente rilevare quando l’ente ecclesiastico svolge attività di interesse generale nell’ordinamento civile. Inoltre, garantisce la separazione tra l’intero complesso patrimoniale dell’ente religioso civilmente riconosciuto e di quella parte di patrimonio dell’ente ecclesiastico che, attraverso uno specifico atto volontario di destinazione, si qualifica come “patrimonio destinato” a dette attività di interesse generale.
Rispetto al quadro iniziale delineato dalla riforma, giova rilevare che, in tema di patrimonio destinato, il dl 77/2021 ha modificato gli articoli 4, comma 3, del dlgs 117/2017 e 1, comma 3, del dlgs 112/2017 stabilendo che i beni che compongono il patrimonio destinato siano indicati nel regolamento, anche con atto distinto ad esso allegato e che per le obbligazioni contratte in relazione alle attività di interesse generale e diverse, gli enti religiosi civilmente riconosciuti rispondano nei limiti del patrimonio destinato.
In conseguenza a ciò lo stesso decreto ha sancito che, per la medesima ratio segregativa, i creditori dell'ente religioso civilmente riconosciuto non possono far valere alcun diritto sul patrimonio destinato allo svolgimento delle attività.
Il legislatore ha pertanto assicurato il rispetto della struttura e delle finalità degli enti religiosi garantendo loro la segregazione del patrimonio destinato al ramo terzo settore o impresa sociale.
L’impianto dei modelli si struttura in via quasi similare tra quello riferito agli Ets e quello delle imprese sociali, tenendo conto delle peculiari diversità dettate dalla normativa per le due qualifiche soggettive.
In particolare, si rileva (valutando il modello di regolamento per ramo Ets) una prima parte di indicazioni circa le attività esercitate dal ramo, distinguendo tra le attività di interesse generale, le attività diverse e le attività di raccolta fondi (artt. 2, 3 e 14), per poi proseguire con le norme in tema di divieto di distribuzioni degli utili nonché in tema di patrimonio (artt. 4, 5, 6 e 10).
Gli ulteriori articoli del modello (Ets) sono poi dedicati al bilancio ed alla tenuta delle scritture contabili e dei libri sociali obbligatori, con l’indicazione del bilancio sociale laddove normativamente richiesto (artt. 7, 8 e 9).
Con riferimento alla riforma è posta la possibilità da parte del ramo di avvalersi di volontari per l’esercizio dell’attività (art. 11).
Di estrema rilevanza, per questo tipo di enti, la disposizione del modello di regolamento che indica i poteri di gestione e di rappresentanza (art. 12), per la quale deve essere indicato il soggetto che esercita i poteri di ordinaria e straordinaria amministrazione del ramo. Gli enti ecclesiastici devono individuare tale soggetto sulla base delle disposizioni in materia di autorizzazioni e controlli previsti dal Codice di diritto canonico e dalla Conferenza episcopale italiana (delibera n. 38 del 21 settembre 1990; delibera n. 20 del 6 settembre 1984, con aggiornamento del 27 marzo 1999; n. 75 dell’Istruzione in Materia Amministrativa della Conferenza Episcopale Italiana del 1° settembre 2005), nonché di altre previsione quali ad esempio il decreto del Vescovo diocesano, il diritto proprio, lo statuto.
Altresì deve essere indicato il soggetto a cui competono i poteri di rappresentanza legale (sempre art. 12). In relazione alla rappresentanza legale, la nota di accompagnamento ricorda che il legale rappresentante delle attività di interesse generale può essere un soggetto differente rispetto a colui al quale è attribuita la legale rappresentanza dell’ente ecclesiastico civilmente riconosciuto. Si legge infatti che “Talune circostanze possono sollecitare la coincidenza dei soggetti a cui è attribuita la legale rappresentanza (per es.: nel caso di legale rappresentante di un Istituto che gestisce opere sanitarie); in altri casi, invece, può essere opportuno attribuire la legale rappresentanza per lo svolgimento delle attività di interesse generale a un soggetto diverso (per es.: al preside, anziché al parroco, per la gestione di una scuola parrocchiale)”.
Infine vi è una disposizione nel regolamento importante che riguarda le “condizioni di validità ed efficacia degli atti giuridici” (art. 13): in conformità alle previsioni dell’art. 18, legge 20 maggio 1985, n. 222, gli atti giuridici per i quali è richiesta l’autorizzazione della competente autorità ecclesiastica, a norma del Codice di diritto canonico e delle delibere della Conferenza episcopale italiana, producono effetti nell’ordinamento civile solo in presenza di tale autorizzazione.
La nota della Cei pone inoltre una particolare attenzione sull’organo di controllo. In relazione al ramo Ets evidenzia come, in assenza di una specifica disposizione di legge, sia opportuno valutare con attenzione l’eventualità che l’attività sia vigilata da un organo di controllo di carattere tecnico (per es.: un organo monocratico costituito da un dottore commercialista, un avvocato, un ragioniere o perito commerciale, un consulente del lavoro o un professore universitario in materie economiche o giuridiche), con l’integrazione del regolamento mediante un apposito articolo.
Nel caso in cui l’ente ecclesiastico intenda svolgere attività di impresa di interesse generale si fa riferimento all’art. 10 del dlgs 112/2017 che richiede la presenza di un organo di controllo indipendentemente da soglie dimensionali. Di conseguenza, il modello di regolamento per lo svolgimento di attività d’impresa di interesse generale prevede un’apposita disciplina dell’organo di controllo.
Attesa la possibilità di perseguire la strada del “ramo”, nelle modalità sopra esposte, la scelta tra ramo Ets e ramo impresa sociale necessita ancora di certezze dal punto di vista fiscale, che al momento richiedono i passaggi autorizzatori in sede di Commissione Europea delle disposizioni fiscali dalla riforma (in particolare art. 79 e ss. codice del Terzo settore e artt. 16 e 18 decreto impresa sociale); autorizzazioni che sono attese nel presente anno 2022.
La nota di accompagnamento richiama infine gli enti ad effettuare una scelta ponderata con un adeguato confronto con la competente autorità ecclesiastica, al fine di identificare le soluzioni più idonee a un’intelligente partecipazione al sistema del Terzo settore. I modelli presentati, si specifica, hanno carattere generale e, pertanto, devono essere valutati nella concreta corrispondenza alle caratteristiche e alle esigenze del singolo ente.
© Foto in copertina di Luciana Petti, progetto FIAF-CSVnet "Tanti per tutti. Viaggio nel volontariato italiano"