Introdotto il Fondo per l’innovazione sociale e il Consiglio regionale del Terzo settore, affiancato dall’Osservatorio del Terzo settore e dell’amministrazione condivisa. Previste anche numerose semplificazioni per gli enti più piccoli e il riconoscimento di quelli non iscritti al registro unico nazionale del Terzo settore
Sostegno e promozione, riconoscimento, valorizzazione e semplificazione. Sono gli obiettivi principali della nuova legge regionale per il Terzo settore e l'amministrazione condivisa approvata il 5 aprile scorso dall’Assemblea legislativa della Regione Emilia-Romagna (legge regionale 13 aprile 2023, n. 3). Ultima tappa di un percorso di due anni di ricerca, ascolto e confronto per 120 incontri, da Piacenza a Rimini, con associazioni, amministratori pubblici e portatori di interesse.
La nuova legge trova le sue premesse storiche nelle istanze popolari e civili, di attivismo e di volontariato che hanno segnato l’orizzonte sociale degli anni ’70 e ’80 in Italia e in particolare in Emilia-Romagna. Una risposta a bisogni e desideri nata e cresciuta al di fuori delle istituzioni, che poi ha cercato una sfera di legittimità pubblica promuovendo, ben prima della formulazione di leggi specifiche, ciò che oggi conosciamo come cooperazione sociale, volontariato e associazionismo di promozione sociale. Per lungo tempo questo insieme di organizzazioni è stato chiamato “non profit” e nel Codice civile è stato indicato come “enti non commerciali” fino a quando, con la riforma del 2016, ha trovato un riconoscimento giuridico diventando “Terzo settore”.
L’apporto positivo delle formazioni comunitarie aveva già trovato piena legittimità nella modifica al Titolo V della Costituzione (art. 118) attraverso l’introduzione del principio di sussidiarietà per lo svolgimento delle attività di interesse generale
L’autorganizzazione delle persone spesso ha saputo rispondere ai mutamenti della società rendendola più inclusiva e resiliente attraverso l’innovazione sociale, un processo di cambiamento basato su strategie e idee che portano a soddisfare lo sviluppo economico e sociale di una determinata comunità di riferimento, anche in complementarità con i servizi pubblici. Gli ambiti di azione maggiormente coinvolti sono istruzione e formazione, tutela ambientale, riuso ed economia circolare, sharing economy e social housing, miglioramento delle condizioni di lavoro, valorizzazione culturale, creativa e artistica delle competenze, delle identità e dei territori. Questo modello di economia sociale e relazionale si contrappone radicalmente ai sistemi economici classici ed “estrattivi”. Si tratta infatti di attivare processi di co-produzione delle risposte ai bisogni e ai desideri della collettività, in una logica collaborativa capace di valorizzare le intelligenze, le propensioni dei singoli soggetti per determinare nuovi scenari.
In questo senso, con la legge regionale, si può accompagnare la nascita di una “interdipendenza” tra le organizzazioni che attuano il progetto.
Dopo Toscana e Umbria, anche l’Emilia-Romagna ora si dota di una legge ritagliata sui bisogni non profit del territorio e delle amministrazioni pubbliche.
Nella fase di redazione e definizione della legge regionale sono stati raccolti i bisogni di molte organizzazioni non profit che segnalavano da tempo incertezze e problemi in seguito all'applicazione della riforma nazionale.
La sfida è quella di ricostruire un senso di comunità in cui gli enti del Terzo settore, insieme alle pubbliche amministrazioni, partendo da un’analisi dei bisogni, definiscono una rete di attività e servizi per rispondere alle esigenze e ai desideri delle persone, che sono cambiati dopo la pandemia. Per questo la legge favorisce il confronto e la formazione, sostenendo sia gli enti del Terzo settore sia la pubblica amministrazione. Solo con un settore pubblico forte e presente possiamo avere anche un Terzo settore forte e presente, e viceversa, ponendo le basi per un vero e proprio patto di solidarietà, affinché si possano dare risposte efficaci ai cittadini.
Tra le novità significative introdotte nel testo di legge c’è il Fondo per l’innovazione sociale che può contare su una dotazione di un milione e mezzo di euro all’anno, istituito con l’obiettivo di finanziare processi e progetti definiti dal Terzo settore insieme alle amministrazioni pubbliche secondo i principi e le pratiche dell’amministrazione condivisa. Una collaborazione fattiva tra “cittadini attivi” ed enti locali per rispondere più adeguatamente e in modo innovativo ai bisogni delle comunità, che consentirà per esempio di trasformare una biblioteca in un centro culturale per connettere persone, arti e saperi, di far evolvere i centri sociali in case di quartiere aperte a tutti, di progettare un nuovo playground insieme ai giovani che lo utilizzeranno oppure di co-progettare servizi di prossimità come doposcuola, attività per gli anziani o percorsi di agricoltura urbana.
Accanto alle linee guida regionali è prevista una dotazione economica perché vengano incentivate le pratiche dell’amministrazione condivisa. Si tratta di una modalità che affianca quella del Codice dei contratti pubblici, promuovendo la cooperazione tra i soggetti di Terzo settore anziché la competizione.
Nell’intenso percorso di ascolto condotto sul territorio prima dell’approvazione della legge è emerso come le amministrazioni pubbliche troppo spesso impiegano strumenti inadeguati per il coinvolgimento del Terzo settore. Per esempio, a piccole organizzazioni di volontariato viene richiesta l’iscrizione al Mepa (il mercato elettronico per i fornitori della PA) quando queste vogliano sviluppare attività con le Ausl o i Comuni. Disconoscendo così di fatto il ruolo positivo e l’apporto partecipativo del volontariato, che non può essere ridotto a un “fornitore di servizi”. Volontariato, associazionismo e cooperazione sociale sono in grado di portare nell’esecuzione delle attività un valore aggiunto che supera di gran lunga quello economico usato troppo spesso come unico parametro.
La legge prevede inoltre percorsi di formazione, programmati e finanziati dalla Regione, congiunti tra pubbliche amministrazioni ed enti di Terzo settore per accompagnare il nuovo paradigma collaborativo a cui si è ispirata, attingendo alle risorse del Fondo sociale europeo. È necessario trovare un linguaggio comune, mettere a sistema le buone prassi e definire due percorsi: il primo riguarda i rapporti tra enti pubblici ed enti iscritti al registro unico nazionale del Terzo settore (Runts), il secondo riguarda invece il rapporto con i soggetti non iscritti. Migliaia di associazioni hanno deciso di non iscriversi ancora al registro unico, ma l’intento è quello di non perdere le loro competenze, i loro volontari e le loro attività.
La nuova normativa istituisce poi il Consiglio regionale del Terzo settore – che sostituirà l’attuale Conferenza regionale del Terzo settore – partecipato anche da soggetti finora esclusi come i centri di servizio del volontariato, le fondazioni di origine bancaria, gli enti locali, l’Assemblea legislativa stessa. Il Consiglio sarà affiancato dall’Osservatorio del Terzo settore e dell’amministrazione condivisa che condurrà analisi e approfondimenti sui soggetti iscritti al registro unico nazionale e sui processi di amministrazione condivisa attivati nei territori. A compimento del raccordo tra Regione e Terzo settore sarà istituita l’Assemblea annuale dove saranno condivisi dati e rapporti.
Un rinnovato e rafforzato sistema di rappresentanza inoltre accompagnerà, anche con contributi economici, il consolidamento del livello provinciale degli organismi maggiormente rappresentativi, quelli che oggi sono i Forum del Terzo settore territoriali. Non si tratta di costruire spazi di visibilità, ma a tutti gli effetti di contribuire a rendere concreto il confronto tra gli enti del Terzo settore. Un momento fondamentale del processo senza il quale l’amministrazione condivisa è impraticabile.
La nuova legge regionale semplificherà la vita alle organizzazioni di Terzo settore emiliano-romagnole, anche alle più piccole, chiarendo una volta per tutte gli aspetti burocratici e garantendo su tutto il territorio gli stessi vantaggi in materia di urbanistica e concessione dei beni pubblici. Le associazioni, quindi, non saranno più obbligate a cambiare la destinazione d’uso degli spazi che utilizzano, così come verranno esonerate dal contributo di costruzione. Inoltre, gli enti associativi saranno destinatari privilegiati per la concessione in comodato o con canone calmierato di beni mobili e immobili di proprietà pubblica. La Legge infine stabilisce che dopo l’iscrizione al registro unico del Terzo settore, secondo il principio di once only, la documentazione consegnata e aggiornata periodicamente non dovrà essere richiesta altre volte dagli enti pubblici.
* Consigliere regionale Emilia-Romagna e primo firmatario della legge
© Foto in copertina di Giuseppe Vitale, progetto FIAF-CSVnet "Tanti per tutti. Viaggio nel volontariato italiano"