Secondo la Corte di Appello di Roma per beneficiare di agevolazioni fiscali e contributive, è necessario non solo che l’associazione o società sportiva dilettantistica sia riconosciuta dal Coni ma anche che i collaboratori non svolgano l'attività professionalmente, non traendone il loro sostentamento, anche se non esclusivo
Mentre attendiamo di sapere se saranno apportati gli auspicati emendamenti al decreto legislativo 36/2021 di attuazione della legge delega di riforma dell’ordinamento sportivo con particolare riferimento agli aspetti lavoristici, esaminiamo una recente sentenza della Corte di Appello di Roma (Sentenza 17/6/2021 n. 2423).
Una società sportiva dilettantistica subisce un controllo nel corso del quale viene contestata la posizione di 15 collaboratori percettori i cosiddetti compensi sportivi in qualità di istruttori e di collaboratori amministrativo-gestionali con conseguente calcolo dei contributi previdenziali non versati.
L'Inps affermava che l’applicazione dell’istituto definito dall'art. 67 comma 1 del Testo Unico delle imposte sui redditi si fondasse sui seguenti presupposti, ossia che:
1) l'attività sportiva dilettantistica sia riconosciuta come tale dal Coni e dalle Fsn;
2) l'attività sportiva dilettantistica si concluda con una rappresentazione sportiva;
3) gli organismi promotori dell'attività sportiva dilettantistica siano riconosciuti dal Coni;
4) il committente risulti iscritto nel Registro nazionale tenuto dal Coni;
5) la manifestazione sia di carattere dilettantistica;
6) i compensi non risultino conseguiti nell'esercizio di un'arte o professione e che non si tratti di lavoro subordinato.
La società sportiva vince in primo grado e la questione viene sottoposta alla Corte di Appello.
L'art. 3 dlgs n. 708 del 1947 prevede che "Sono obbligatoriamente iscritti all'Ente tutti gli appartenenti alle seguenti categorie: 21 - addetti agli impianti sportivi".
Con decreto del Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali del 15 marzo 2005, entrato in vigore il 22 aprile 2005, di "adeguamento delle categorie dei lavoratori assicurati obbligatoriamente presso l'Ente nazionale di previdenza ed assistenza dei lavoratori dello spettacolo" è stato previsto, in sostituzione della elencazione di cui all'art. 3 dlgs C.P.S. n. 708 del 1947 che "le categorie dei lavoratori assicurati obbligatoriamente presso l'ente nazionale di previdenza e assistenza dei lavoratori dello spettacolo sono adeguate secondo la seguente elencazione: (...) 20) impiegati, operai e addetti agli impianti e circoli sportivi di qualsiasi genere, palestre, sale fitness, stadi sferisteri, campo sportivi, autodromi; 22) direttori tecnici, massaggiatori, istruttori e i dipendenti delle società sportive; 23) atleti, allenatori, direttore tecnico-sportivi e preparatori atletici delle società di calcio professionistico e delle società sportive professionistiche”.
Si ricorda che il dlgs C.P.S. 1947, n. 708, ratificato con modifiche dalla legge n. 2388 del 1952, e successive modificazioni, stabilisce l'obbligo di iscrizione all'Enpals, cui è succeduto l'Inps, per determinate categorie professionali a prescindere dalla forma subordinata o autonoma.
È stato ribadito, al riguardo, dalla Corte di Cassazione che "l'obbligo assicurativo che grava sulle imprese dello spettacolo in favore dei lavoratori elencati nel dlgs CPS. n. 708 del 1947, art. 3, sussiste indipendentemente dalla natura autonoma o subordinata della loro collaborazione (cfr. Cass., nn. 17301/2002; 17509/2005); deve infatti ritenersi che, in difetto di specifica contraria indicazione, l'elencazione dei soggetti assicurati, svolta con riferimento alle relative qualificazioni professionali e non già al tipo di rapporto giuridico instaurato, li ricomprende nell'obbligo assicurativo indipendentemente dalla configurazione in termini di subordinazione della prestazione lavorativa espletata (Cass. 2014 n. 21245 in materia di obbligazione contributiva degli "addetti agli impianti sportivi").
L’istituto non presenta ad un oggi una definizione giuslavoristica ma esclusivamente fiscale, all'art. 67 comma 1 del Tuir, ai sensi del quale:
"Sono redditi diversi se non costituiscono redditi di capitale ovvero se non sono conseguiti nell'esercizio di arti e professioni o di imprese commerciali o da società in nome collettivo e in accomandita semplice, né in relazione alla qualità di lavoratore dipendente:
....m) le indennità di trasferta, i rimborsi forfetari di spesa, i premi e i compensi erogati ai direttori artistici ed ai collaboratori tecnici per prestazioni di natura non professionale da parte di cori, bande musicali e filodrammatiche che perseguono finalità dilettantistiche, e quelli erogati nell'esercizio diretto di attività sportive dilettantistiche dal Coni, dalle Federazioni sportive nazionali, dall'Unione Nazionale per l'Incremento delle Razze Equine (Unire), dagli enti di promozione sportiva e da qualunque organismo, comunque denominato, che persegua finalità sportive dilettantistiche e che da essi sia riconosciuto.
Tale disposizione si applica anche ai rapporti di collaborazione coordinata e continuativa di carattere amministrativo gestionale di natura non professionale resi in favore di società e associazioni sportive dilettantistiche".
La disposizione dell'art. 35, comma 5, del dl n. 207 del 2008, convertito dalla legge n. 14 del 2009) ha successivamente disposto – con una norma di interpretazione autentica come evidenziato dalla Cassazione con l’ordinanza n. 24365 del 30 settembre 2019 - che "nelle parole esercizio diretto di attività sportive dilettantistiche contenute nell'art. 67, comma 1, lettera m), del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 91, e successive modificazioni, sono ricomprese la formazione, la didattica, la preparazione e l'assistenza all'attività sportiva dilettantistica".
Ne consegue che per beneficiare della agevolazione in termini tributari e contributivi occorre il verificarsi di un duplice requisito:
1) la natura dell'ente che eroga i compensi deve rientrare tra quelle di associazioni o società sportive dilettantistiche, il cui riconoscimento è affidato al Coni, per cui il sodalizio non solo deve dimostrare l’avvenuta iscrizione nel Registro Coni ma anche la natura di ente senza scopo di lucro e la concreta realizzazione di attività sportive dilettantistiche;
2) la non professionalità dell'esercizio delle attività di collaborazione prestate in favore di tali associazioni o società. Affinché operi l'esonero dall'obbligo contributivo (come evidenziato dalla Corte di Appello di Roma nelle sentenze 574/2018, n. 2594/2019 n. 4651/2019; n. 291/2019 e n. 574/2018), l'attività svolta dall'atleta o dall'istruttore deve avere carattere non professionale, avendo avuto il legislatore l'intento di favorire, in tal modo, lo svolgimento di attività sportive per mere finalità ludiche e non già imprenditoriali perché ove l'atleta o l'istruttore esercitino professionalmente la loro attività, prevale l'esigenza di tutela costituzionale del lavoro con conseguente persistenza dell'obbligo contributivo sui compensi corrisposti a colui il quale, anche in via non esclusiva, trova nell'attività sportiva la propria fonte di sostentamento. La Corte di Appello evidenzia che “l'esenzione dall'obbligo contributivo sussiste solo a condizione che il rimborso di spesa o compenso sia corrisposto a colui il quale non svolge in modo professionale l'attività per la quale è remunerato, ossia a condizione che lo stesso non eserciti tale attività in modo continuativo traendone in tutto o in parte il reddito per le proprie esigenze di vita. A tal fine non rileva la circostanza che, qualora il reddito così generato non superi la soglia di euro 7.500,00 (oggi euro 10.000), esso non è assoggettato ad imposta, trattandosi di soglia stabilita dal legislatore solo ai fini dell'esclusione dell'imposizione fiscale IRPEF del soggetto percettore".
La Corte di appello accoglie il ricorso dell’Istituto previdenziale facendo leva sulle seguenti caratteristiche delle collaborazioni esaminate:
1) la prestazione viene svolta abitualmente sia dagli istruttori che dagli addetti alla segreteria della associazione,
2) il possesso di specifiche competenze tecniche,
3) la non marginalità dei compensi complessivamente percepiti che superano ampiamente la soglia della cosiddetta no tax area di cui agli artt. 11 e 13 del Tuir.
È quindi sempre più necessaria la definizione giuslavoristica del rapporto.
Il decreto legislativo 36/2016 circoscrive l'istituto a determinate prestazioni (la norma fa riferimento a “premi e compensi occasionali in relazione ai risultati ottenuti nelle competizioni sportive, nonché indennità di trasferta e rimborsi spese, anche forfettari” per cui appare circoscritto alle trasferte ed ai premi e compensi occasionali riconosciuti in relazione ai risultati ottenuti nelle attività competitive, escludendo così i collaboratori che non effettuano trasferte e/o che non collaborano alla realizzazione di attività competitive), sottoponendolo ad un plafond economico (il provvedimento prevede che quando le indennità di trasferta e rimborsi spese superano il limite reddituale di cui all'articolo 69, comma 2, del Tuir, ossia i 10.000 euro, “le prestazioni sportive sono considerate di natura professionale, ai sensi dell'articolo 25, comma 1, per l'intero importo”, con conseguenti significative difficoltà gestionali) e qualificandolo, a tali condizioni, come attività di volontariato in contrasto con il Codice del Terzo Settore che vieta il riconoscimento di rimborsi forfettari ai volontari e, con ciò, rendendolo incompatibile per le organizzazioni sportive dilettantistiche che assumono la qualifica di enti del terzo settore.
Si ritiene invece che ben potrebbe essere qualificato come rapporto di lavoro prevedendo, a prescindere dalla sua qualificazione come rapporto di lavoro subordinato, autonomo o di altra natura, una prima fascia non solo di esenzione fiscale ma anche contributiva, in via assoluta – ossia riconoscendola a tutti i collaboratori – o limitando il beneficio a chi ha altra tutela previdenziale o è studente, analogamente a quanto previsto nel settore spettacolistico.