In una nota del ministero del Lavoro e delle Politiche sociali si approfondiscono le modalità con cui pubblica amministrazione ed enti esclusi possano acquisire eccessivo potere negli Ets. Per le imprese sociali l’attenzione è all’elezione del presidente
Le amministrazioni pubbliche e tutti gli altri enti esclusi dal perimetro del terzo settore (elencati all’art 4 comma 2 del D Lgs 117/17) possono partecipare alle organizzazioni del terzo settore ma entro certi limiti. Il tema è quello del controllo, direzione e coordinamento di un Ets, nelle cui maglie si può nascondere un’influenza dominante da parte di enti che non fanno parte del terzo settore.
Ma come si misura la dimensione del controllo, direzione e coordinamento? Lo spiega una nota pubblicata giorno 4 marzo 2020 sul sito del ministero del Lavoro e delle Politiche sociali con l’intento di analizzare i possibili scenari in cui enti non di terzo settore possano di fatto influenzare o indirizzare un Ets.
Presupposto di base per inquadrare il tema, capire chi può far parte del terzo settore e chi viene escluso dalla normativa. Nella sua informativa, il direttore generale Alessandro Lombardi ripercorre il recinto entro cui un’organizzazione può acquisire la qualifica di Ets. Si tratta dell’organizzazione di volontariato (Odv), l’associazione di promozione sociale (Aps), l’ente filantropico, l’impresa sociale, rete associativa, la società di mutuo soccorso, l’associazione (riconosciuta o meno), la fondazione (esclusa quella di origine bancaria) e altri enti di natura privata (escluse le società) che operano senza scopo di lucro, svolgono attività di interesse generale e sono iscritti nel registro unico nazionale (Runts).
Dal novero degli enti del terzo settore sono escluse le pubbliche amministrazioni, ma anche le formazioni e le associazioni politiche, i sindacati, le associazioni professionali e di rappresentanza di categorie economiche, le associazioni di datori di lavoro e le organizzazioni sottoposte a direzione e coordinamento o controllate dai suddetti enti.
In effetti nel codice del terzo settore non è riportata un’espressa definizione della nozione di direzione, coordinamento e controllo. Alla luce di questo, la nota specifica che il riferimento normativo è l’articolo 2359 del codice civile, secondo cui il controllo si attua nelle seguenti situazioni:
A partire da questa norma, anche il terzo settore può essere sottoposto a indicazioni simili. Com’è noto, in un ente di terzo settore (escluse le imprese sociali in forma societaria) non c’è partecipazione al capitale ma la possibilità di controllo di diritto può verificarsi attraverso la disponibilità dei voti esercitabili negli organi decisionali. Nello specifico, come si legge nella nota, questo può verificarsi nei casi in cui “l’atto costitutivo e lo statuto riservino ad un determinato soggetto escluso (oppure ad un insieme di soggetti esclusi, anche appartenenti a diverse tipologie di essi) la maggioranza dei voti esercitabili nell’organo assembleare, di indirizzo o nell’organo amministrativo, a prescindere dai diversi schemi di governance che gli Ets possono adottare”. Questo può accadere anche in presenza di una pluralità di soggetti esclusi facenti parte dell’ente, che singolarmente considerati non dispongano della maggioranza dei voti nell’organo assembleare o nell’organo di amministrazione, ma la cui sommatoria degli stessi produce allo stesso modo la maggioranza dei voti. Questo secondo caso, potrebbe non emergere necessariamente dall’esame dell’atto costitutivo o dello statuto.
Il controllo di fatto, invece, si può riscontrare da situazioni “oggettivamente riscontrabili alla luce delle circostanze del caso concreto, ad esempio, dall’esame delle deliberazioni degli organi in grado di indirizzare l’attività dell’ente, con particolare riferimento a quelli amministrativi”.
Un eventuale controllo esterno, infine, potrebbe allo stesso modo risultare nel caso in cui “emerga all’evidenza l’esistenza di appositi accordi di natura contrattuale tra due o più enti, dei quali quello (o quelli) appartenente alle categorie escluse, sia posto in condizione, in virtù di tali accordi, di esercitare un’influenza dominante sull’altro, determinandone gli indirizzi gestionali”.
Sulla scia del ragionamento fatto sul controllo, anche per “direzione e coordinamento” il riferimento è quello dei gruppi societari secondo gli articoli 2497 e seguenti del Codice civile, interpretabile come “un’attività di ‘gestione unitaria’ o ‘direzione unitaria’ intesa come elemento qualificante un gruppo di enti”. Nel caso degli enti del terzo settore, il ministero ribadisce che debba essere valutata in concreto, “sulla base di elementi suscettibili a indicare un’effettiva influenza sulla gestione dell’ente da parte del soggetto ‘escluso’”.
Per questi specifici enti, esiste un decreto legislativo apposito in cui si prescrive che non possono acquisire la qualifica di impresa sociale le società costituite da un unico socio persona fisica, le amministrazioni pubbliche e gli enti i cui atti costitutivi limitino, anche indirettamente, l’erogazione dei beni e dei servizi in favore dei soli soci o associati. Si aggiunge che le società costituite da un unico socio persona fisica, gli enti con scopo di lucro e le amministrazioni pubbliche non possono esercitare attività di direzione e coordinamento o detenere, in qualsiasi forma, anche analoga, congiunta o indiretta, il controllo di un’impresa sociale.
Per evitare, anche in questo caso, eventuali ingerenze, la nota ricorda che possono essere nominati componenti degli organi sociali soggetti esterni all’impresa sociale ma che non possono assumere la presidenza dell’impresa sociale i rappresentanti di amministrazioni pubbliche e di enti non di terzo settore.