Indicazioni su una delle forme tipiche con cui alcuni enti del Terzo settore possono concludere accordi collaborativi con le pubbliche amministrazioni
Le convenzioni costituiscono una delle forme tipiche con cui alcuni enti del Terzo settore possono concludere accordi collaborativi con le pubbliche amministrazioni. Le linee guida per l’affidamento di servizi a enti del terzo settore e alle cooperative sociali di Anac n. 32 del 20 gennaio 2016 le definiscono, in termini generali, come “lo strumento giuridico mediante il quale il soggetto pubblico riconosce in capo all’organizzazione i requisiti necessari per il perseguimento di obiettivi di interesse pubblico, mette a disposizione di tale soggetto le risorse necessarie per il perseguimento degli obiettivi predefiniti, controlla, verifica e valuta l’operato dell’organizzazione con riferimento all’attività affidata”.
Esse erano già previste nella legge n. 266 del 1991 (art. 7), in tema di organizzazioni di volontariato (Odv), e nella legge n. 383 del 2000 (art. 30), in tema di associazioni di promozione sociale (Aps). In tema di cooperazione sociale, la legge n. 381 del 1991 prevede una tipologia di accordo, denominata anch’essa convenzione, riservata alle cooperative sociali cosiddette di tipo B “per la fornitura di beni e servizi diversi da quelli socio-sanitari ed educativi” (art. 5).
La riforma del Terzo settore prevede, oggi, una norma a carattere generale (art. 56 del Codice del Terzo settore), che disciplina le convenzioni della pubblica amministrazione con Odv e Aps per lo “svolgimento in favore di terzi di attività o servizi sociali di interesse generale”. La riforma introduce poi una norma ad hoc dedicata alle convenzioni per il trasporto sanitario di emergenza-urgenza (art. 57). Attualmente, le linee guida sul rapporto tra pubbliche amministrazioni ed enti del Terzo settore (dm n. 72 del 2021) offrono una interpretazione importante della portata di tali disposizioni.
Sopravvive, inoltre, la fattispecie delle convenzioni previste dall’art. 5 della legge n. 381 del 1991.
Per esemplificare la lettura, le diverse fattispecie saranno esaminate separatamente. In via generale, tuttavia, è importante sottolineare che questi specifici accordi sono tutti riconducibili alla matrice dell’art. 11 della legge n. 241 del 1990, e rispondono alla medesima ratio: sottrarre alcuni soggetti, in possesso di una determinata qualifica del Terzo settore, alla disciplina dei contratti pubblici (dlgs n. 50 del 2016), stabilendo un regime speciale di rapporto con la pubblica amministrazione in virtù della particolare meritevolezza del loro agire.
Tali accordi, quindi, si distinguono rispetto agli accordi conclusi ai sensi dell’art. 55 del Codice del Terzo settore nell’ambito della co-progettazione. Quest’ultimi, infatti, possono essere conclusi fra qualsiasi ente del Terzo settore e la pubblica amministrazione e possono avere ad oggetto qualsiasi attività di interesse generale. Essi, inoltre, sono finalizzati “alla definizione ed eventualmente alla realizzazione di specifici progetti di servizio o di intervento finalizzati a soddisfare bisogni definiti”, alla luce degli strumenti di co-programmazione. L’oggetto dell’accordo di co-progettazione, quindi, è definito all’interno di un procedimento amministrativo nel quale vi è sia “convergenza di obiettivi”, sia “aggregazione di risorse pubbliche e private per la programmazione e la progettazione, in comune, di servizi e interventi diretti a elevare i livelli di cittadinanza attiva, di coesione e protezione sociale, secondo una sfera relazionale che si colloca al di là del mero scambio utilitaristico”. In particolare, l’aggregazione di risorse può avvenire, dal lato pubblico, attraverso contributi di cui all’art. 12 della legge n. 241 del 1990 e, dal lato degli Ets, attraverso contributi economici, beni immobili o mobili, opere dell’ingegno, ecc. È nella condivisione che si realizza la progettazione. Pertanto, gli accordi hanno un certo tasso di atipicità intrinseca, nel senso che rispondono alle esigenze emergenti da ciascun tavolo di co-progettazione: pertanto, le singole clausole “creano”, di volta in volta, un reticolo di diritti, obblighi, facoltà, ecc. in relazione all’obiettivo da conseguire.
Le convenzioni previste dal Codice del Terzo settore (artt. 56 e 57), invece, presuppongono che sia la pubblica amministrazione a definire l’oggetto del possibile accordo, ad indire una selezione e a scegliere, sulla base di procedure comparative, l’ente o gli enti con i quali sottoscrivere l’accordo. Le Odv e le Aps, quindi, partecipano a tali procedure e la selezione avviene sulla base dei criteri indicati negli atti di indizione. Le stesse convenzioni devono rispondere ad una serie di requisiti obbligatori, sanciti dalla legge.
Quindi, nelle convenzioni è la pubblica amministrazione che definisce le modalità di intervento, lasciando gli aspetti attuativi agli Ets. Nella co-progettazione, invece, la Pa individua “bisogni definiti, alla luce degli strumenti di programmazione”, ma la costruzione degli interventi è rimessa alla responsabilità congiunta di Terzo settore e Pa, la quale può essere chiamata a modificare la propria organizzazione, il proprio funzionamento, le regole di rendicontazione e misurazione dei risultati, ecc. Ciò spiega anche perché, mentre nella convenzione gli interlocutori sono solo Odv e Aps, nella co-progettazione è l’intero Terzo settore.
Si tratta, quindi, di una dinamica giuridica significativamente diversa da quella della co-progettazione e da non confondere. Certamente, all’esito di un procedimento di co-programmazione, sarà possibile per la pubblica amministrazione procedente stabilire, motivatamente, se sia più opportuno attivare un procedimento di co-progettazione, oppure se indire procedimenti per la stipula di convenzioni o, ancora, ricorrere ai moduli del Codice dei contratti pubblici, avendo come obiettivo il rafforzamento del principio di sussidiarietà orizzontale. Fondamentale “chiave di volta” – la definisce il Tar Puglia - Lecce, sez. II, 30 dicembre 2019, n. 2049 – è l’aspetto della motivazione: spetta alla Pa motivare in forma logica, razionale, coerente, non distonica con il panorama costituzionale e sovranazionale di riferimento la scelta dello strumento da mettere in campo.