Secondo i dati presentati da Iris network, le oltre 22 mila istituzioni hanno risposto bene alla crisi continuando a creare occupazione. La ricerca si riferisce alle imprese "di fatto", al di là della definizione giuridica. Nel rapporto le informazioni su fatturato, distribuzione e settori di intervento
L’impresa sociale in Italia cresce e resiste rispondendo alle nuove esigenze dettate dalla pandemia. I numeri parlano chiaro: sono più di 22mila le imprese sociali di fatto che danno occupazione a quasi 650mila dipendenti, pari rispettivamente al 6,3% delle istituzioni e al 71,0% dei dipendenti del settore non profit. Di queste, oltre la metà (57,5%) sono cooperative sociali, precisamente 12.956, seguite dalle associazioni (15,4%).
È questo il quadro definito nella IV edizione del Rapporto sull’impresa sociale di Iris Network – L’impresa sociale in Italia. Identità, ruoli e resilienza, un lavoro di indagine costruito a partire dall’elaborazione dei dati Istat (Censimento permanente delle Istituzioni non profit del 2020, anno di riferimento 2018). I dati presentati il 13 aprile 2021 in diretta sul canale youtube di Iris Network, si riferiscono a quelle che gli autori definiscono "imprese sociali di fatto", superando quindi la nozione giuridica contenuta nel dlgs. 112/2017.
Il rapporto, infatti, riconosce come imprese sociali le istituzioni non profit che soddisfino i seguenti criteri:
a. presenza di almeno un dipendente;
b. soddisfazione di almeno una delle seguenti condizioni:
– il rapporto tra fatturato e i costi per beni, servizi, e personale è superiore al 50%;
– trattasi di un’istituzione non profit con forma giuridica d’impresa non necessariamente con la qualifica di impresa sociale;
– trattasi di una scuola paritaria con a attività commerciale;
– trattasi di una istituzione non profit con a attività commerciale operante nell’ambito della sanità.
Come si legge nel rapporto, l’applicazione di questi criteri all’universo delle istituzioni non profit tende sicuramente a soddisfare la dimensione economico-imprenditoriale di un’impresa sociale riconosciuta sia dalla definizione delle Nazioni Unite, che della Commissione Europea, mentre la dimensione sociale e la governance inclusiva, difficili da verificare empiricamente, sono assunte come soddisfatte in base alla fattispecie giuridica.
Delle oltre 22mila imprese sociali "di fatto", quindi, più del 40% occupa più di 10 addetti. Il 46,3% hanno un fatturato inferiore ai 200 mila euro, anche se il 10,8% supera i 2 milioni di euro. Quasi la metà opera al Nord (47,6%), dove il 37,2% delle imprese ha un fatturato superiore ai 500 mila euro, mentre al Sud il 55,2% ha un fatturato che non supera i 200 mila euro. Il 31% delle imprese sociali opera nei servizi sociali, il 19% nell’inserimento lavorativo, ma significativa anche la componente attiva nel settore istruzione e ricerca (18,3%) e cultura e sport (18,2%) e sanità (8%).
Rispetto, quindi, alle imprese sociali "di diritto", quindi giuridicamente riconosciute, quelle "di fatto" analizzate dal rapporto sono il 55,2% in più in termini numerici e contano il 19,2% in meno di dipendenti (quasi esclusivamente imprese sociali ex lege senza personale dipendente).
Alla luce di queste precisazioni metodologiche, la rete di istituti di ricerca di Iris Network ha analizzato le informazioni sull'impresa sociale e il loro ruolo sociale e politico nel paese mettendo a confronto i dati con quelli del Censimento tradizionale del 2011, rispetto ai quali si registra un aumento del 10,2% di imprese e del 19% per quanto riguarda gli addetti.
A presentare il rapporto Carlo Borzaga (presidente di Euricse), Marco Musella (presidente di Iris Network), Giovanni Fosti (presidente di Fondazione Cariplo), Elena Granaglia (professore ordinario all’Università degli Studi di Roma Tre), Eleonora Vanni (presidente di Legacoopsociali) e l’onorevole Andrea Orlando, Ministro del Lavoro e delle politiche sociali, che è intervenuto con un lungo intervento sullo stato dell'arte della riforma del Terzo settore. Nel suo intervento, Orlando ha sottolineato la buona capacità dell'intero comparto di generare occupazione e quella di rimodularsi velocemente, requisito quanto mai essenziale anche in vista della ripartenza.
Il ministro ha poi ricordato l'importanza della relazione tra gli enti del Terzo settore e le pubbliche amministrazioni, anche alla luce della recente sua firma del decreto di adozione delle Linee guida sul rapporto tra pubbliche amministrazioni ed enti del Terzo settore (coprogrammazione e coprogettazione).
La risposta alla pandemia
In questa quarta edizione del volume, sono state esaminate le dimensioni e le caratteristiche del settore, il contributo alla crescita economica/occupazionale, al benessere dei destinatari dei servizi e alle politiche sociali, e la reazione alla pandemia da Covid-19. Su quest’ultimo tema è stata realizzata una ricerca originale tesa a verificare le strategie di resilienza e le loro determinanti, a partire dall'analisi di 120 casi di resilienza e oltre 50 interviste a responsabili nazionali e regionali.
Da qui è emerso che molte imprese sociali hanno mostrato un comportamento resiliente. Chiamate a rispondere ad esigenze nuove e urgenti, e a reinventarsi, hanno saputo trasformarsi per portare avanti le attività e continuare ad essere "punti di riferimento per i propri utenti e le comunità".
Nello specifico, le imprese sociali hanno messo in atto tre strategie di resilienza: il mantenimento e il rafforzamento dei propri servizi, sostenendo spesso direttamente l’aumento dei costi; la riprogrammazione delle attività, che spesso si è tradotta nel passaggio al digitale dei servizi prima previsti in presenza; l’ampliamento dell’offerta per far fronte alle aumentate fragilità che la pandemia ha portato con sé.
Tra i fattori determinanti per la resistenza del settore, la solidità organizzativa delle imprese sociali, i loro valori di riferimento, la capacità connettiva con il territorio e l'investimento in competenze.
Lara Esposito - Cantiere terzo settore