Lavorare insieme, fare formazione per costruire una cultura comune, mettersi in gioco nel rapporto con la pubblica amministrazione e coinvolgere tutti gli attori sociali. Ecco alcune delle richieste dei partecipanti al progetto Capacit’Azione nei primi dati di monitoraggio
Gli esperti coinvolti nel progetto Capacit’Azione hanno detto la loro sul percorso formativo e sulle sfide aperte dalla riforma del terzo settore. Le risposte arrivano dai primi dati sul monitoraggio progettuale, in particolare quelli relativi al contesto, il senso e gli obiettivi generali della riforma. Quattro domande aperte su cui si sono espressi oltre 580 dei 1300 utenti coinvolti nel programma di formazione nazionale e che stanno per diventare, a loro volta, i nuovi formatori sulla riforma in tutt’Italia.
Realizzato da Forum Terzo Settore Lazio, in collaborazione con Forum Terzo Settore Nazionale e CSVnet con il finanziamento del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, Capacit’Azione propone un percorso formativo altamente qualificato a operatori disponibili a replicare la formazione sul proprio territorio, o all’interno delle proprie reti, per almeno cinque volte. In questo modo, l’effetto dell’azione progettuale è destinato a moltiplicarsi e a dare vita a un dibattito diffuso. Ai candidati, infatti è richiesto di essere già in possesso di competenze specifiche sui temi prescelti. Oltre l’80% di loro ha un’età compresa tra i 30 e i 64 anni: nella fascia più giovane si trova l’8%, oltre i 65 anni il restante 9%. Un’utenza scelta, quindi, in cui confluiscono operatori che sui territori già si occupano di non profit, cui si aggiungono nel conteggio complessivo oltre 130 funzionari e dirigenti della pubblica amministrazione, figure strategiche per la corretta attuazione della normativa.
Fascia d'età dei formatori intervistatiGli esperti interpellati nel monitoraggio ne sono certi: l’alleanza nazionale tra Centri di servizio per il volontariato (Csv) e Forum Terzo Settore insieme alle altre sigle coinvolte serve a tutto il sistema. In progetto infatti è realizzato con la partnership di Anpas, Anteas, Arci, Auser e CdO-Opere sociali, cui si aggiungono Acli, Anci Lazio, Anffas, Pro Bono Italia, Coordinamento periferie, Legambiente, Leganet e Legautonomie come collaboratori di sistema.
In cima alle risposte, la convinzione che questa alleanza sia un modo per imprimere una direzione alla riforma. Stare insieme, quindi, per plasmare il nascente diritto del terzo settore, far esprimere il non profit e lavorare per il bene della collettività. In secondo luogo, secondo gli intervistati la partnership potenzia il terzo settore in generale e, di conseguenza, i singoli enti coinvolti.
L’importanza di una forte alleanza nazionale tocca un tratto forte della riforma: la capacità degli enti del terzo settore (Ets) di agire in modo collettivo. I partecipanti hanno riconosciuto nel partenariato di progetto un’anticipazione degli assetti previsti dalla riforma e hanno chiaramente individuato la rappresentanza politica, come il Forum del Terzo Settore e la presenza strategica sul territorio, come i Csv. La loro alleanza è quindi letta come un elemento decisivo e un atto di responsabilità, non come mero atto di “buonismo”. Dalle risposte, infatti, emerge una chiara tendenza a superare una visione strumentale del “beneficio per la singola organizzazione” e ragionare, invece, per raggiungere gli obiettivi generali dell’intero settore. Un altro effetto positivo atteso – anche se meno presente nelle risposte – riguarda il contesto sociale: una partnership forte a livello nazionale può portare a benefici per la collettività e potenziare le forme di lavoro nel sociale.
La seconda domanda riguarda principalmente il follow up del progetto: l’impegno dei partecipanti a realizzare almeno 5 incontri formativi sul territorio. Interrogati sulle possibili risposte dei territori a queste sollecitazioni, gli intervistati hanno messo in evidenza due aspetti fondamentali. Quella prioritaria riguarda il bisogno da parte degli Ets di informazioni, indicazioni e strumenti per orientarsi in questa fase: la formazione risponde così a una necessità utilitaristica di adeguamento alla normativa. Oltre al bisogno però, parte delle risposte si indirizzano verso una visione più ampia, come un’occasione di crescita e di responsabilizzazione da parte di tutto il sistema. La riforma, quindi, non solo come mero adempimento delle richieste normative, ma anche come un bagaglio condiviso utile per raggiungere obiettivi comuni.
Ed è in questo contesto che gli esperti coinvolti sollecitano ancora una volta gli enti di secondo livello a cercare una mediazione con le istituzioni: è grazie a loro che la riforma potrà prendere una forma definita. Tra le risposte emerge anche il tema delle piccole associazioni, le più bisognose di supporto e sostegno.
La formazione sui territori, quindi, è tutt’altro che neutrale. Per renderla efficace sarà necessario cogliere le vere esigenze degli enti e continuare ad alimentare una visione strategica comune ma anche una lettura condivisa della riforma, che renda più consapevoli gli enti coinvolti. La formazione a cascata, inoltre, dovrà mettere insieme i soggetti presenti sui territori. Il coinvolgimento della pubblica amministrazione è ritenuto necessario. È già qui che si introducono i temi della co-programmazione e della co-progettazione. I rapporti tra il terzo settore e la pubblica amministrazione sono al centro del processo di protagonismo di questo mondo, soprattutto a fronte del binario tra collaborazione e competizione.
Con la terza domanda si entra nel vivo delle questioni che riguardano il rapporto con la pubblica amministrazione. Capacit’Azione, infatti, coinvolge direttamente enti locali e regioni nel processo formativo: sono loro gli attori istituzionali in grado di attuare davvero la riforma. Quello che si chiede è la presenza di un terzo settore non più remissivo ma capace di mettere a disposizione conoscenze e competenze da far valere, senza cedere alle sirene della mercatizzazione.
Il nodo della collaborazione tra istituzioni pubbliche e terzo settore, infatti, è al centro della riforma, dei cambiamenti del mondo della solidarietà, dei processi di inclusione sociale e di governo del territorio. Si tratta di un ambito molto ampio nel quale prendono forma le questioni che riguardano l’art. 55 del dgls 117/2017 sulle modalità di collaborazione tra pubblica amministrazione e terzo settore e l’oscillazione tra competizione e cooperazione nelle relazioni tra attori sociali. La questione va oltre la possibilità che comuni e/o regioni possano collaborare o meno alla realizzazione di un progetto e riguarda la visione dello sviluppo locale. Includere il terzo settore nei meccanismi di governance territoriale, infatti, può ampliare la partecipazione della società civile, migliorare la redistribuzione del reddito su base locale, diminuire l’entropia nella gestione dei processi di solidarietà sociale e, in generale, rafforzare l’autogoverno delle proprie risorse nelle comunità locali attraverso la coesione sociale. Al contrario, quando il terzo settore è agganciato alla vita delle istituzioni pubbliche da meccanismi di mercato si rischia di essere solo un fenomeno di convenienza economica, lasciando inalterati i meccanismi del contesto. La relazione tra terzo settore e pubblica amministrazione, invece, può diventare uno spazio di azione ampio e offre alle regioni la possibilità di costruire laboratori di sussidiarietà innovativi, per offrire risposte adeguate ai bisogni delle comunità.
Per il terzo settore la riforma è anche un’opportunità di legittimazione: per questo motivo i partecipanti al progetto hanno espresso la necessità di ampliare la platea dei soggetti ai quali rivolgere la formazione. La richiesta è messa in relazione a una generale valorizzazione della propria realtà, con un occhio attento al territorio e ai fenomeni sociali. Il terzo settore sembra voler portare fuori da sé un messaggio importante di sviluppo del territorio, con la consapevolezza che per farlo non può lavorare da solo. Emerge, quindi, la proposta di coinvolgere tutto il territorio nella formazione a cascata, facendone un momento di rilancio e di elaborazione culturale, andando oltre l’attività informativa, pur necessaria ma attribuita specificamente alle prerogative dei Csv.
Il progetto Capacit’Azione prevede un’ampia attività di monitoraggio e valutazione: i dati saranno pubblicati di volta in volta.