DUE PRINCIPI DI PARI LEGITTIMITÀ: LA COLLABORAZIONE E LA COMPETIZIONE

Le differenze tra i due approcci per orientarsi e scegliere a quale fare riferimento a seconda dei casi

L’enfasi sulla competizione di mercato come unico principio per garantire l’interesse dei cittadini ha in questi decenni pervaso anche le relazioni tra enti pubblici e Terzo settore tra loro. Si è diffusa la convinzione che l’unico modo per assicurare il bene delle società – per mettere a disposizione dei cittadini le soluzioni migliori, per evitare collateralismi e collusioni – fosse da una parte concepire enti pubblici e Terzo settore come controparti, la prima che, in solitudine, decide cosa acquistare, la seconda fatta di soggetti in competizione tra loro tendano di aggiudicarsi una commessa di mercato.

L’art. 55 del Codice del Terzo settore, la sentenza 131 della Corte costituzionale e le esperienze che ne sono seguite introducono un modello diverso, in cui l’interesse generale è invece perseguito grazie alla collaborazione degli enti del Terzo settore tra loro e con la pubblica amministrazione. Ma, nel momento in cui si afferma che ora entrambi i due principi, la competizione e collaborazione, sono presenti e legittimati, si pone con forza la questione di orientarsi e di scegliere a quale dei due riferirsi.

Prima di addentrarsi in questo tema è opportuna una premessa: la questione si pone, come si vedrà più avanti, relativamente alla co-progettazione, mentre non vi sono motivi validi per non adottare un approccio collaborativo in fase di programmazione. Dunque, nello spirito dell’art. 55, la lettura dei bisogni, la conseguente definizione del tipo di interventi, l’individuazione delle risorse sono sempre oggetto di condivisione tra i diversi soggetti, pubblici e di Terzo settore che operano per l’interesse generale; la co-programmazione rappresenta quindi un allargamento degli spazi di partecipazione attiva e democrazia, che genera capitale sociale e coesione. Il procedimento di co-programmazione, inoltre (vedi il capitolo “La co-programmazione”), già include previsioni utili ad equilibrare il momento orizzontale del confronto e le responsabilità dell’amministrazione pubblica che ha competenza istituzionale rispetto ad un determinato ambito e parrebbe quindi immotivato, da parte di un’amministrazione pubblica, trascurare di avvalersi del contributo che i soggetti del Terzo settore possono apportare in tal senso.

La questione di come orientarsi tra collaborazione e competizione è invece più sensibile laddove si consideri il momento operativo di progettazione e realizzazione di un intervento, cosa che comporta anche individuare quali enti del Terzo settore debbano essere coinvolti e di conseguenza le risorse pubbliche ad essi accordate. In questo caso ci si può chiedere se sia più opportuno co-progettare l’intervento con il Terzo settore o selezionare il fornitore della prestazione attraverso un procedimento competitivo, cioè una gara d’appalto. Se, come si argomenta in questo dossier, competizione e collaborazione hanno pari dignità, la questione diventa relativa a quando ispirare le relazioni tra enti pubblici e terzo settore all’uno o all’altro dei due principi.

Il primo e fondamentale discrimine riguarda l’oggetto della relazione tra ente pubblico e Terzo settore. Laddove la risposta ad un certo bisogno sociale sia definita e si tratti di individuare il soggetto in grado di offrirla alle migliori condizioni di mercato, si sceglierà la competizione; quando emerge il bisogno di ricercare le soluzioni migliori o di ricodificare insieme un bisogno, si sceglierà la collaborazione. Quando la risposta è inquadrabile in termini prestazionali (es. un certo numero di ore di una determinata professionalità) si sceglierà la competizione, quando la risposta ha come elemento caratterizzante la capacità di una pluralità di soggetti di coordinarsi e integrarsi, si sceglierà la collaborazione. Quando le risorse necessarie sono in capo all’ente istituzionalmente responsabile, esso sarà portato a scegliere vie competitive per allocarle, quando sono (o potrebbero essere) in capo ad una pluralità di soggetti pubblici e del Terzo settore, è naturale scegliere strade collaborative. Quando l’insieme degli interventi da realizzare è ragionevolmente stabile nel corso del tempo, è più facile impostare una relazione competitiva, quando sono attese revisioni in itinere ed è richiesta flessibilità, è utile considerare relazioni collaborative.

Esemplificando: se, a fronte della presenza di anziani soli che rischiano di essere impropriamente istituzionalizzati, si ritiene che la risposta migliore sia attivare un certo numero di ore di assistenza domiciliare, si avvierà una competizione per individuare il migliore fornitore di tale prestazione; se si ritiene che lo stesso problema sia meglio affrontabile suscitando e sostenendo la formazione di una rete di sostegno dove insieme si coordinano soggetti che realizzano prestazioni professionali (es. infermieristiche o di assistenza domiciliare), volontari che assicurano compagnia e accompagnamento in azioni della vita quotidiana, iniziative di auto aiuto che coinvolgono altri anziani attivi, risorse di vicinato, ecc. e dove si ritenga qualificante il fatto che questi soggetti, insieme alla pubblica amministrazione, formino una rete integrata e interconnessa, sarà utile dare vita ad un’iniziativa collaborativa.

È evidente che non sempre queste distinzioni sono nette e che esistono casi di confine, ma questo non deve mettere in secondo piano la profonda differenza culturale (prima che giuridica) delle due impostazioni. E non sarà sfuggito come, nella pari legittimità sul piano giuridico delle due opzioni, ad un esame di merito quella collaborativa contenga potenzialità e ricchezza difficilmente conseguibili con operazioni di mero acquisto di servizi sul mercato e costituisca, come ben riaffermato dalla sentenza della Corte costituzionale 131/2020, una diretta e inedita applicazione di un principio costituzionale – il principio di sussidiarietà di cui art. 118 , quarto comma della Costituzione – prima nei fatti disatteso; e che, pertanto, quantomeno l’attenta valutazione della possibilità di percorrere la via dell’amministrazione condivisa anche sul fronte della co-progettazione appare un corretto modo, da parte dell’amministratore pubblico, di adempiere ai propri compiti.

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