Le indicazioni della riforma del Terzo settore sull'amministrazione condivisa
L’art. 55 del Codice del Terzo settore ha contribuito in modo decisivo ad una svolta nelle relazioni tra enti pubblici e Terzo settore, considerati non più soggetti controinteressati – la pubblica amministrazione (Pa) che persegue l’interesse pubblico acquistando prestazioni, il Terzo settore che compete per offrirle alle migliori condizioni di mercato – ma alleati nell’individuare le strade per assicurare diritti e rispondere ai bisogni dei cittadini.
La riforma del Terzo settore (legge 106/2016), richiamando il principio di sussidiarietà affermato dall’art. 118 della Costituzione (vedi anche la sentenza della Corte costituzionale 131/2020), ha posto le basi per costruire questa relazione, configurando il complesso degli enti di Terzo settore (Ets) come “enti privati che promuovono e realizzano attività di interesse generale” e dunque con una finalità analoga a quella della pubblica amministrazione; e ciò viene affermato non con riferimento ad una specifica forma giuridica, ma all’insieme degli enti, quale che sia il modo di operare – azione volontaria e gratuita, mutualità o produzione e scambio di beni e servizi – che li caratterizza. In secondo luogo, la Riforma ha posto le basi per la definizione del confine (i soggetti che ricadono entro il perimetro del Codice del Terzo settore e pertanto sono iscrivibili nel registro unico) e del sistema di controlli a ciò connesso, così da potere avere certezza circa quali soggetti siano identificabili come enti di Terzo settore. L’art. 55 del Codice del Terzo settore (dlgs 117/2017) rappresenta la logica conseguenza di tutto ciò: enti pubblici ed enti del Terzo settore non sono più metaforicamente seduti dalla parte opposta di un tavolo a contrattare i termini di una compravendita; sono, al contrario, dalla stessa parte del tavolo, uniti dal medesimo intento di realizzare l’interesse generale, congiuntamente impegnati ad esaminare le possibili strade per farlo al meglio e di conseguenza, le strategie per reperire e allocare le risorse a ciò necessarie.
In sintesi, secondo l’art. 55 del Codice del Terzo settore, le amministrazioni pubbliche (1), nell'esercizio delle proprie funzioni di programmazione e organizzazione a livello territoriale degli interventi e dei servizi nei settori di attività di cui all'articolo 5 (2), assicurano (3) il coinvolgimento attivo degli enti del Terzo settore, attraverso forme di co-programmazione, co-progettazione, accreditamento (4) nel rispetto dei principi della legge 241/1990 (5).
Si prova di seguito ad approfondire i punti sopra identificati con i numeri corrispondenti, per rimarcare come l’art. 55 abbia introdotto profonde modifiche rispetto al passato.
1) “Le amministrazioni pubbliche”: il soggetto chiamato in causa sono le amministrazioni pubbliche, tutte le amministrazioni pubbliche e non solo gli enti locali che tradizionalmente sono considerati come interlocutori dal Terzo settore: e quindi anche le aziende sanitarie, le scuole, l’amministrazione penitenziaria, ecc. L’effetto pratico di questa previsione è già oggi ben visibile, con le prime sperimentazioni di pratiche di amministrazione condivisa anche da parte di soggetti diversi dagli enti locali.
2) “nei settori di attività di cui all’art. 5…”: il riferimento è all’art. 5 del Codice del Terzo settore, quello che elenca i settori di attività degli enti del Terzo settore. L’oggetto della collaborazione non è più, come in precedenza, limitato al welfare (vedi il capitolo “L’amministrazione condivisa prima del Codice del Terzo settore”), ma investe la generalità degli interventi nei settori di interesse generale citati dal Codice del Terzo settore e quindi il welfare, l’ambito sanitario e socio sanitario, l’educazione e la formazione professionale, la cultura e la salvaguardia del patrimonio culturale, l’ambiente, la cooperazione allo sviluppo, l’housing sociale, l’agricoltura sociale, l’inserimento lavorativo e molto altro.
3) “assicurano”: indicativo presente, che in linguaggio giuridico significa disporre che qualcosa avvenga e non semplicemente avanzare un’ipotetica opzione. Il tema all’ordine del giorno non è tanto la praticabilità di contenziosi amministrativi per l’ente pubblico che non scelga l’opzione collaborativa (es. la programmazione di azioni di lotta alla dispersione scolastica senza coinvolgere gli enti di Terzo settore che operano in tale campo), quanto l’affermazione, questa sì chiara e certa, della normalità, della naturalità dell’approccio collaborativo. È in sostanza un normale principio di buon andamento della pubblica amministrazione riunire i diversi soggetti, pubblici e di Terzo settore, accomunati dal perseguire l’interesse generale in uno specifico settore, per ragionare insieme su come operare.
4) “forme di co-programmazione, co-progettazione, accreditamento”: ciascuno di questi temi è approfondito in un articolo specifico; qui basti evidenziare come si configuri un flusso collaborativo sul piano cronologico e giuridico che parte dalla condivisione della lettura dei bisogni e della scelta delle azioni da realizzare, per poi proseguire nella progettazione di specifici interventi e nella loro realizzazione.
5) “poste in essere nel rispetto dei principi della legge 241/1990”: questo opportuno riferimento, richiamato anche dalla sentenza 131/2020 della Corte costituzionale, fornisce una base procedimentale solida alle pratiche collaborative; in sostanza risponde alla naturale perplessità dell’amministratore pubblico che, condividendo il principio collaborativo, si chieda a quali norme fare riferimento, dal momento che il Codice dei contratti pubblici, con la sua impostazione fondamentalmente competitiva, appare chiaramente inadatto allo scopo. La risposta è appunto quella di fare riferimento alla solida e sperimentata legge sul procedimento amministrativo; saranno poi le linee guida approvate con dm 72 del 31 marzo 2021 a operare una sintesi chiara a supporto degli enti pubblici che si interrogano su come configurare un procedimento amministrativo di co-programmazione, co-progettazione e accreditamento in coerenza con la legge 241/1990.
Nei prossimi capitoli questi temi saranno sviluppati, provando a tracciare un quadro complessivo che delinei sia da un punto di vista culturale che da un punto di vista operativo la portata dell’art. 55 del codice del Terzo settore.