Devono rappresentare un elemento di valore aggiunto per la qualità dei servizi. Un commento a due recenti sentenze su trasporto sanitario ordinario, cooperative sociali e ruolo del volontariato che riaffermano i principi dalla legge 381/1991
Articolo di approfondimento pubblicato su Rivista impresa sociale il 18 maggio 2022
Due recenti sentenze, una del Tar del Veneto, sez. III (5 gennaio 2022, n. 32) e l’altra del Consiglio di Stato, sez. III (3 maggio 2022, n. 3460), sono intervenute sul tema del trasporto sanitario ordinario, le cooperative sociali e il ruolo dei volontari.
Il considerando 28 della Direttiva 2014/24/UE in materia di appalti pubblici dispone in ordine ad una specifica tipologia di servizio sanitario, segnatamente il trasporto sanitario e al coinvolgimento delle associazioni di volontariato: “La presente direttiva non dovrebbe applicarsi a taluni servizi di emergenza se effettuati da organizzazioni e associazioni senza scopo di lucro, in quanto il carattere particolare di tali organizzazioni sarebbe difficile da preservare qualora i prestatori di servizi dovessero essere scelti secondo le procedure di cui alla presente direttiva. La loro esclusione, tuttavia, non dovrebbe essere estesa oltre lo stretto necessario. Si dovrebbe pertanto stabilire esplicitamente che i servizi di trasporto dei pazienti in ambulanza non dovrebbero essere esclusi.” Il considerando 28 ha trovato accoglimento nell’art. 10, lett. h) della Direttiva del 2014, che, a sua volta, ha trovato una propria declinazione nell’ordinamento giuridico italiano nell’art. 57 del codice del Terzo settore.
Le previsioni normative testé citate, dunque, differenziano tra trasporto sanitario di emergenza e urgenza e trasporto sanitario ordinario in ambulanza. Quest’ultimo è disciplinato dall’art. 16, lett. h) del dlgs n. 50/2016 e ss.mm. (Codice dei contratti pubblici), che, dunque, non contempla il servizio di trasporto in ambulanza tra i servizi esclusi dall’applicazione delle procedure ad evidenza pubblica. Da ciò discende che, quando non si tratti di trasporto sanitario di emergenza e urgenza, per il quale si applica l’art. 57 del codice del Terzo settore, le pubbliche amministrazioni sono tenute ad esperire procedure competitive per garantire il servizio di trasporto in ambulanza, alle quali possono prendere parte, in qualità di operatori economici, anche le cooperative sociali di tipo a).
Nel contesto giuridico sopra delineato, un’azienda sanitaria ha indetto una procedura di gara aperta su piattaforma telematica, ai sensi dell'art. 60 del dlgs n. 50/2016 (che prevede che qualsiasi operatore economico interessato possa presentare un'offerta in risposta a un avviso di indizione di gara), per l’affidamento del servizio di trasporto sanitario ordinario di pazienti in ambulanza ed emodializzati nell’interesse dell’azienda sanitaria, per la durata complessiva di cinque anni, suddivisa in tre lotti funzionali, da aggiudicare secondo il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa (qualità: max punti 70/100; prezzo: max punti 30/100).
Alla procedura hanno partecipato alcune cooperative sociali, una delle quali è risultata aggiudicataria del servizio, esito contestato dalla seconda graduata, anch’essa cooperativa sociale, che ha lamentato, inter alia, un utilizzo eccessivo dei volontari nell’erogazione del servizio, che la stazione appaltante non aveva ritenuto anomalo. Nell’erogazione dei servizi di trasporto sanitario ordinario, la cooperativa aggiudicataria aveva incluso nel monte ore mensile, settimanale e giornaliero anche i soci volontari da utilizzare come autisti o assistenti al trasporto, indifferentemente rispetto ai cosiddetti operatori professionali.
La società ricorrente ha contestato la partecipazione dei volontari per effettuare i servizi previsti dalla procedura di gara, in particolare perché la cooperativa assegnataria non aveva fornito alcuna indicazione o specificazione delle modalità del loro impiego. I volontari venivano quindi destinati ad effettuare le prestazioni dedotte in contratto anche in sostituzione degli addetti non volontari, senza che vi fosse alcuna distinzione tra addetti remunerati e con regolare contratto e volontari. Da ciò discende che i soci volontari vengono utilizzati in sostituzione degli altri addetti e non per effettuare “prestazioni di natura complementare” rispetto a quelle dedotte in contratto, così come invece prescritto dall’art. 2, comma 5 della legge n. 381/1991, che così recita: “Nella gestione dei servizi di cui all'articolo 1, comma 1, lettera a), da effettuarsi in applicazione dei contratti stipulati con amministrazioni pubbliche, le prestazioni dei soci volontari possono essere utilizzate in misura complementare e non sostitutiva rispetto ai parametri di impiego di operatori professionali previsti dalle disposizioni vigenti”. La ratio della norma è quella di evitare fenomeni di dumping sociale, che spinga la concorrenza al ribasso sul costo del lavoro, abbassando quindi la qualità dei servizi e rendendo più competitive quelle cooperative che facciano massivo utilizzo del volontariato, in modo da incentivare fenomeni di deprezzamento del valore del lavoro nel settore della cooperazione sociale. La previsione di cui al comma 5 citato intende, al contrario, valorizzare la funzione di animazione, di arricchimento del servizio e di sostegno all’utenza dei volontari, il cui impiego, pertanto, deve risultare complementare all’attività svolta dal personale professionale della società.
Secondo la ricorrente, dunque, il massiccio impiego dei volontari nell’erogazione dei servizi, in quanto contrario alla previsione normativa, avrebbe dovuto condurre all’esclusione della cooperativa risultata aggiudicataria dalla gara in oggetto.
Si è costituita in giudizio la stazione appaltante, che, per quanto qui di interesse, ha richiamato il sistema di accreditamento regionale e quello della lex di gara, attuativa del primo, quali presupposti che avrebbero legittimato e giustificato l’impiego dei volontari, così come previsto dalla cooperativa aggiudicataria.
Il Tar del Veneto, sez. III, con sentenza 5 gennaio 2022, n. 32, accogliendo il ricorso, ha statuito che:
Avverso la sentenza del Tar Veneto, è stato proposto appello, in particolare, per quanto qui di interesse, sul presunto erroneo convincimento dei giudici amministrativi di prime cure in merito all’inammissibilità dell’impiego dei volontari. Nello specifico, ha proposto appello la cooperativa assegnataria, mentre l’Ulss ha aderito alla richiesta di riforma della sentenza del Tar, in quanto l’Azienda sanitaria locale ha prospettato il dubbio che la legge regionale che disciplina la materia, e le delibere di Giunta attuative, rendessero in qualche modo ultronea la questione imperniata sulla legge statale. E ciò perché la legislazione regionale impone, ai fini dell’accreditamento, un’abilitazione specifica per tutti coloro che operano in trasporto sanitario, compresi gli autisti, con la conseguenza – possibile in punto logico – che la limitazione dell’attività di una tipologia di soci alle attività complementari si sarebbe prestata a essere considerata irrilevante sotto il profilo dell’attitudine al servizio.
A supporto delle proprie tesi, la società cooperativa ricorrente ha richiamato la previsione contenuta nell’art. 17 del codice del Terzo settore, secondo il quale gli Enti del terzo settore “possono avvalersi di volontari nello svolgimento delle proprie attività”, in particolare considerando la “grave carenza di figure infermieristiche e socio-sanitarie…”. Nello specifico, i ricorrenti hanno segnalato che l’impiego dei volontari è da riferirsi ai soccorritori e agli autisti ossia a figure da ritenersi “complementari” rispetto agli operatori professionali in ambito sanitario (medici e infermieri). Il divieto di sostituzione previsto dall’art. 2, co. 5 L. 381/1991 non sarebbe da riferire, secondo le ricorrenti, “come erroneamente ritenuto dal Tar, alle prestazioni che deve espletare qualsiasi socio lavoratore – dipendente, ma solo “rispetto ai parametri di impiego degli operatori professionali previsti dalle disposizioni vigenti”. È stata inoltre censurata la distinzione formulata dal Tar tra associazioni di volontariato e cooperative sociali, in quanto, al contrario, le due forme organizzative si equiparano, poiché entrambe possono essere costituite da volontari e dipendenti. Da ciò discenderebbe che non potrebbe fondatamente sostenersi, come ha fatto il Tar, che l’uso di personale volontario costituisca un’alterazione (id est: un’anomalia) del mercato.
Il Consiglio di Stato, sez. III, con sentenza 3 maggio 2022, n. 3460, ha rigettato l’appello, evidenziando che:
Le sentenze qui in commento hanno il pregio:
A ciò si aggiunga che le sentenze ribadiscono la distinzione (e quindi la non equiparazione) tra cooperative sociali e organizzazioni di volontariato. Le due forme giuridiche condividono le finalità perseguite, in specie se si pone mente a quelle individuate nella riforma del Terzo settore; tuttavia, esse divergono sotto il profilo delle modalità di gestione delle attività, degli interventi e dei servizi organizzati ed erogati, i quali tendono a remunerare i soci, anche attraverso i ristorni. In questa prospettiva, pertanto, i giudici amministrativi hanno inteso rimarcare la differenza tra forme imprenditoriali e organizzazioni di volontariato. Sebbene cooperative sociali e organizzazioni di volontariato possono avvalersi dell’apporto dei volontari, l’impiego di questi ultimi deve rimanere su due piani diversi. Mentre nelle cooperative sociali, i volontari contribuiscono a integrare in modo complementare le attività e le prestazioni rese dal personale retribuito, nelle organizzazioni di volontariato sono proprio i volontari a costituire l’ossatura portante dell’agire delle organizzazioni. In quest’ottica, l’ordinamento giuridico ha previsto che nelle cooperative sociali, che – peraltro – rispetto alle organizzazioni di volontariato sono individuate tra gli operatori economici che possono partecipare alle procedure di gara, nell’ambito di queste ultime l’impiego dei volontari non può costituire un elemento di concorrenza sleale rispetto ad altri concorrenti. Le cooperative sociali (imprese sociali ex lege) rimangono attratte nell’alveo delle imprese e, come tale, si distinguono dalle organizzazioni di volontariato, le quali, ancorché possano svolgere attività economico-imprenditoriale, non costituiscono una forma imprenditoriale, ivi inclusa quella sociale, espressamente esclusa proprio dal dlgs n. 112/2017.
Dalle sentenze, in ultima analisi, si può trarre una “lezione” utile anche per comprendere la portata della riforma del Terzo settore: la definizione unitaria di ente del Terzo settore sottende, comunque, la necessaria distinzione tra tipologie giuridiche soggettive, che, sia per organizzazione sia per modalità gestionali, differiscono le une dalle altre. Questa linea di demarcazione ha un impatto anche sulle procedure adottate dalle pubbliche amministrazioni per regolare i rapporti giuridici con i soggetti non lucrativi e mutualistici. Mentre le cooperative sociali, in quanto operatori economici, partecipano alle gare d’appalto di cui al Codice dei contratti pubblici, finanche potendo risultare tra i soggetti “privilegiati” a tale partecipazione in caso di determinati servizi (si veda l’art. 143 del dlgs n. 50/2016), le organizzazioni di volontariato ricadono nella disciplina del codice del Terzo settore, che nello specifico degli artt. 56 e 57 le ammette alla sottoscrizione di convenzioni con gli enti pubblici.
© Foto in copertina di Alberto Polonara, progetto FIAF-CSVnet "Tanti per tutti. Viaggio nel volontariato italiano"