Intervista alla presidente nazionale Francesca Chiavacci che fa il punto sui passi fatti dalla rete dei 4mila circoli per adeguarsi alla nuova normativa. “Si metta mano al Titolo X del codice del Terzo settore”
Una riforma che “mette ordine a un sistema complesso” e che “ha tenuto conto della nostra realtà”, ma ci sono diversi aspetti ancora non risolti. Per Francesca Chiavacci, prima presidente nella storia di Arci, è ancora lungo il lavoro per adeguare l’organizzazione alla riforma del Terzo settore e ottenere la qualifica di rete associativa nazionale. Dal riconoscimento delle attività essenziali per la sopravvivenza degli oltre 4mila circoli - come la somministrazione di cibo e bevande - a un forte investimento nella formazione per i circoli su questi temi e lo sviluppo di strumenti sempre più performanti per garantire una rendicontazione trasparente delle risorse, tra cui una piattaforma dedicata alla redazione dei nuovi bilanci. Tra le priorità dettate dalla riforma c’è anche l’idea di ripensare ad una governance sempre più capace di assolvere alle funzioni organizzative, non solo di rappresentanza. E si chiede di rimettere mano alla fiscalità di vantaggio per le associazioni di promozione sociale.
La riforma ha sicuramente influenzato la nostra organizzazione, che intende mantenere la qualifica di associazione di promozione sociale (Aps) e diventare anche rete associativa nazionale. Per un’Aps che svolge servizi per i propri soci, ma ha una collocazione di interesse pubblico ed è costantemente rivolta alla comunità, essere definita ente del Terzo settore è stato un riconoscimento importante, e anche una qualificazione delle nostre associazioni. Infatti, sotto la definizione giuridica di Aps spesso negli anni passati si sono sviluppate realtà, locali e nazionali, che utilizzavano questa possibilità in maniera scorretta. Non si può sottovalutare la rilevanza di questa riforma, che finalmente definisce le caratteristiche degli enti del Terzo settore e mette ordine in un sistema complesso. In questo senso possiamo dire che ha tenuto conto della nostra realtà ed è corrispondente alle nostre caratteristiche e a quello che facciamo. La definizione generale va senz'altro bene, è stato fatto un grande lavoro, ad esempio sul principio del mutualismo che è uno dei nostri fondamenti, mentre sulla trattazione giuridica ci sono ancora elementi da perfezionare o nodi irrisolti, come nel passaggio dalla definizione a cosa concretamente bisogna fare per essere ente del Terzo settore.
Assolvere ai primi adempimenti è stato per noi un passaggio importante da un punto di vista quantitativo, considerando che la nostra base associativa è composta da circa 4mila circoli, un lavoro impegnativo, che ancora non è finito.
C'è però un grande vulnus non risolto, di cui infatti stiamo ancora discutendo, e riguarda la parte della fiscalità di vantaggio, alquanto rilevante per la tipologia di attività e di autofinanziamento delle nostre strutture, che si fonda principalmente sulla somministrazione di cibo e bevande. Come noi, sono in molti a ritenere che il Titolo X, che affronta il tema della fiscalità, vada rivisto: in particolare, a tutela della permanenza di migliaia di esperienze circolistiche nel perimetro del Terzo Settore, occorre che le attività che l'art. 85 del dlgs 117/2017 sul regime fiscale delle associazioni di promozione sociale definisce come “complementari”, in quanto tali non siano considerate attività diverse, ma si collochino espressamente fra le attività di interesse generale di cui all’art. 5. È certamente un chiarimento prioritario ad oggi non risolto, in una definizione complessiva che invece soddisfa le nostre esigenze, ma sappiamo bene che una riforma così articolata ha bisogno di tanti decreti attuativi, e qualche intervento correttivo. Molti se ne sono succeduti e altri ancora ne dovranno venire. La declinazione concreta di come attuare regole e comportamenti va perfezionata.
Definire le attività degli enti del Terzo settore di interesse generale è uno dei punti più preziosi di questa riforma, che ha dato vita ad un lungo elenco di attività riconosciute. La nostra associazione si occupa di molte cose, presenti nei nostri statuti già prima della riforma, dall'educazione alla salvaguardia dell'ambiente, tutti settori di impegno che sono previsti per le nostre realtà. In particolare, quello che più ci interessava era l'aspetto relativo alla diffusione della cultura: noi siamo impegnati da sempre nella promozione della cultura, per farla arrivare dove non potrebbe con gli strumenti tradizionali. Quindi siamo stati soddisfatti dell’inserimento, fin dall'inizio, delle attività culturali tra quelle di interesse generale. Nonostante la lunga discussione sul tema, per noi la cultura è di per sé di interesse sociale e credo che il legislatore nella definizione abbia voluto specificare proprio il lavoro che svolgiamo noi, cioè la promozione e la diffusione della cultura anche attraverso la pratica del volontariato ed attività diffuse, che è il cuore della nostra proposta. Per quanto ci riguarda, quindi, non ci sono elementi mancanti, quando dovremo indicare le attività diverse e secondarie rispetto a quelle di interesse generale si tratterà di capire come si intrecceranno nella gestione concreta. Questo, infatti, influirà sulla redazione dei bilanci, dove andrà specificato quale percentuale di iniziative rientra nella categoria. Inoltre, queste distinzioni e categorizzazioni – che rischiano di introdurre elementi di maggiore rigidità in un mondo in gran parte basato sull'impegno volontaristico – andranno trasmesse anche ai nostri circoli: un corso di qualsiasi tipo, se gratuito, dovrà comunque trovare una collocazione nel bilancio. Il tema da affrontare è come organizzazioni e circoli riusciranno ad applicare nella vita quotidiana le normative e gli adempimenti fiscali a cui dovranno adeguarsi.
Per dare seguito alla nostra intenzione di diventare una rete associativa nazionale ci siamo attrezzati, a partire dalla rendicontazione e dai bilanci, sociali e non. Abbiamo lavorato molto sulla formazione delle nostre basi associative in merito alla redazione dei nuovi bilanci, dando vita anche ad una piattaforma, costruita insieme ai circoli, in cui potranno inserire tutti i dati, per garantire una trasparenza maggiore, come richiesto dalla legge. Questo è un lavoro che abbiamo iniziato con buon anticipo, anche se ancora non possiamo dirlo concluso, perché siamo in attesa di definizioni e specifiche che mancano. Abbiamo assolto a questi primi adempimenti, compresi la pubblicazione dei contributi pubblici e i costi del personale attraverso il nostro sito nazionale e, a cascata, delle varie articolazioni territoriali. Già da qualche anno avevamo messo in piedi una banca dati online dei soci e circoli, con tutte le informazioni, comprese quelle relative agli organismi dirigenti. Uno strumento digitale, inizialmente utile a garantire la trasparenza all’interno della nostra organizzazione – per inquadrare la nostra realtà che è molto grande e complessa – ma che in tempi di chiusura delle strutture e senza poter svolgere assemblee in presenza, ci ha garantito e sta garantendo un grande risultato, portandoci a consolidare la strumentazione online di cui ci eravamo già muniti. Quindi per ora abbiamo svolto tanta formazione e compiuto una grande mole di lavoro, in cui si inserisce anche la rendicontazione sociale, che è prevista per bilanci sopra una certa soglia, quindi per la nostra organizzazione nazionale. Questo è un altro tema rilevante, perché un conto è fare le cose e un altro riuscire a raccontarle: è la sfida più importante e quella su cui abbiamo ancora da lavorare. La nostra direzione nazionale ha un bilancio di alcuni milioni di euro che andranno inseriti già nella rendicontazione di quest’anno, quindi dovremo adeguarci molto in fretta.
La particolare situazione che viviamo dall'inizio del 2020, anche se drammatica vista la notevole riduzione delle attività per la pandemia, in parte ci agevola, dandoci il tempo di imparare come utilizzare al meglio questi strumenti di rendicontazione e per la comunicazione del nostro operato.
In merito all'impianto organizzativo nazionale e territoriale si è trattato di individuare figure che noi in realtà già avevamo, denominate al nostro interno “Rete dei servizi” e “Osservatorio legislativo”, che si occupano di produrre interpretazioni delle leggi e servizi di vario genere per i circoli, oltre all'inserimento nel registro nazionale precedente alla riforma. L'impatto della riforma sarebbe importante nell’ottica di rafforzare queste funzioni nella nostra direzione nazionale e, dal punto di vista organizzativo, per strutturare la relazione con la filiera. Purtroppo al momento mi trovo a dover usare il condizionale, perché in questa fase non si concilia molto con la nostra situazione economico-finanziaria: abbiamo messo in campo un grande sforzo di formazione che è già stato un aggravio di lavoro e di studio, e anche se dal punto di vista formale abbiamo già una figura che si occupa di questo, bisognerebbe rafforzare questa funzione organizzativa.
Invece per quanto riguarda la gestione della governance noi eravamo già strutturati come richiesto dalla riforma: la nostra attuale presidenza è l'organo di amministrazione ai sensi dell'art. 26 del codice del Terzo settore (Cts), ma nella nostra vita precedente avevamo già una struttura di direzione e indirizzo politico, che non ha subito particolari cambiamenti. Quando faremo il prossimo congresso dovremo definire meglio la nostra governance, che è composta con criteri di rappresentanza territoriale ed esperienza, ma alla luce della riforma dovremo provare a sperimentare una governance che sia più adatta a gestire l'intreccio con la funzione organizzativa, e meno legata alla rappresentanza. In merito alla governance un altro tema su cui ci siamo battuti, insieme ad altri enti, è relativo alla possibilità di lasciare un margine di autonomia alle articolazioni territoriali, nei limiti della legge, concedendo qualche forma di eterogeneità organizzativa.
I nostri organismi sono declinati quasi allo stesso modo a livello nazionale, regionale e provinciale, ma la grande varietà di caratteristiche delle strutture ha generato una diversità di approcci e automatismi. Per noi intervenire su questo sistema renderebbe la gestione molto faticosa e complessa, essendo così ampi e differenziati al nostro interno. Ad oggi lo prendiamo come spunto per una riflessione futura, ma sicuramente dobbiamo rafforzare a tutti i livelli, principalmente quello nazionale, le funzioni organizzative che si occupano di servizi, supporto e formazione alla nostra rete territoriale.
Per noi il rischio maggiore è che molte delle nostre basi associative non possano essere riconosciute come enti del Terzo settore, non perché non rispondenti alla definizione generale, ma per l'impossibilità di assolvere agli obblighi che la legge impone. La difficoltà è sia da un punto di vista fiscale sia nel rapporto fra attività di interesse generale e attività diverse, che il codice definisce “secondarie e strumentali”, restringendo il campo di azione rispetto alla normativa precedente. Si tratta di questioni ancora irrisolte, tanto che anche i tecnici e la stessa Agenzia delle entrate hanno difficoltà interpretative sul combinato disposto di vari articoli: in questo ambito rientra la gran parte del nostro autofinanziamento. Se non venissero effettuate le opportune modifiche rischieremmo di perdere molte basi associative: le indicazioni sono di difficile attuazione per varie categorie di enti, e potrebbero risultare talmente complicate da interpretare da causare scelte personali, con l'inserimento nei bilanci di voci che non corrispondono perfettamente allo spirito del codice del Terzo settore. Siamo ancora in attesa di capire come comportarci: già alla fine di quest'anno, con la rendicontazione economico finanziaria, avremmo seri problemi, per questo continuiamo a premere, anche attraverso il Forum Nazionale del Terzo Settore, perché si metta mano al Titolo X che affronta la questione della fiscalità.
Su questo fronte il nostro impianto online di immissione di dati ci è stato molto utile: il punto oggi più critico dell’istituzione del registro, a mio parere, è la relazione con le modalità interpretative regionali dello stesso, che sono diverse da territorio a territorio. Questa eterogeneità rende il lavoro complicato da gestire a livello nazionale, in termini di formazione e non solo. Ci auspichiamo che nel percorso di applicazione sia previsto anche un sostegno in termini di risorse per le reti nazionali con cui potenziare le proprie funzioni organizzative: si tratta, infatti, di molto lavoro in più, su cui bisognerà investire tempo e risorse. In questi mesi abbiamo lavorato sulla formazione e gli adeguamenti statutari: c'è bisogno di una interlocuzione con il Ministero del Lavoro e delle politiche sociali non appena saranno chiari tutti gli elementi, per affrontare i nodi irrisolti. Alcune criticità, inoltre, vanno affrontate regione per regione, e questo rende meno fluido il percorso tra nazionale e territorio.
In questo senso sarebbe auspicabile che il Ministero si attivasse quanto prima per approvare i “modelli standard” di statuto predisposti dalle reti associative per i propri aderenti. Puntiamo molto sulla formazione per far capire a tutte le basi associative cosa vorrà dire essere iscritti al registro: i lati positivi legati al riconoscimento ottenuto e le sue potenzialità, ma anche i lati più faticosi, in quanto dovremo farci trovare pronti. Non siamo sicuri che tutti riusciranno ad iscriversi, ma proviamo a dotarli di tutti gli strumenti necessari, dalle piccole cose alle più importanti ed impegnative.