“Senza un impianto fiscale, più difficile programmare le attività”: la riforma del Terzo settore secondo la Croce Rossa

Matteo Camporeale, vice presidente e rappresentante giovani racconta il punto di vista di un ente che ha attraversato un profondo rinnovamento dettato non solo dalla normativa introdotta dal dlgs 117, ma anche dal passaggio da ente pubblico ad associazione di diritto privato, le cui caratteristiche sono definite da uno specifico decreto

In dieci anni la Croce Rossa italiana ha vissuto un profondo rinnovamento passando da ente pubblico ad associazione di diritto privato, disciplinata anche dal decreto legislativo 178 del 2012. Si tratta di un ente che può contare sull’impegno volontario di oltre 157.000 persone su tutto il territorio nazionale, organizzate grazie al lavoro di oltre 650 comitati territoriali.

La riforma del Terzo settore ha agevolato l’adozione di regole chiare e una standardizzazione dei processi di trasparenza e rendicontazione delle attività. Lo spiega in un’intervista Matteo Camporeale, vice presidente e rappresentante giovani della Croce Rossa, che ribadisce come questo processo nei fatti sia stato già stato avviato con la riorganizzazione del 2012.

Rimane la forte incertezza dettata dall’assenza di un impianto fiscale sicuro per il Terzo settore, un buco normativo che mette in difficoltà soprattutto i livelli territoriali. E sul registro unico nazionale del Terzo settore, in quasi il 50 per cento delle regioni il processo è stato completato.

In che modo la riforma del Terzo settore ha influenzato il lavoro della sua organizzazione? Quanto è corrispondente la definizione di ente del Terzo settore alla sua realtà?

Sulla nostra realtà, come rete associativa Croce rossa italiana, l’impatto della riforma del Terzo settore è stato molto positivo: ci ha aiutato a migliorare ulteriormente il nostro operato con regole chiare e una standardizzazione dei processi di trasparenza e rendicontazione delle attività. Sicuramente con la nostra associazione noi rientriamo in pieno nella definizione di ente di Terzo settore. Croce rossa è una organizzazione che si basa sull’impegno volontario di oltre 157.000 persone su tutto il territorio nazionale, organizzate grazie al lavoro dei nostri oltre 650 comitati territoriali. Quindi sicuramente Croce rossa rientra a pieno nel Terzo settore e nella definizione di organizzazione di volontariato. Inoltre, abbiamo una peculiarità che ci caratterizza: negli ultimi dieci anni abbiamo vissuto una trasformazione da ente pubblico ad associazione di diritto privato, attraverso il decreto legislativo 178 del 2012 che ha ordinato alcuni aspetti della nostra associazione e che è assolutamente in linea con le norme del codice del Terzo settore.

Il codice del Terzo settore introduce un elenco specifico di attività di interesse generale. Quali sono i confini dell’attività che svolge il suo ente e che impatto ha avuto su questo la nuova definizione legislativa?

Proprio per le caratteristiche della nostra associazione questo aspetto ha avuto un impatto minore. Infatti, la riorganizzazione di Croce rossa, iniziata nel 2012, ha previsto un decreto legge, il 178, che contiene all’articolo 4 la definizione delle attività di pubblico interesse che possiamo svolgere. Croce rossa è definita nell’articolo 1 del decreto “associazione di diritto privato e di interesse pubblico, ed ausiliaria dei pubblici poteri nel settore umanitario”. Le attività che possiamo svolgere sono proprio definite dall’articolo 4 del decreto e sono in linea con quelle introdotte dal codice del Terzo settore.

La riforma chiede agli enti maggiore trasparenza, una grande attenzione alla accountability e alla rendicontazione sociale. Quali sono le azioni messe in campo dalla sua organizzazione in questo senso?

Croce rossa ha un passato da ente pubblico a cui si sono aggiunti gli obblighi previsti dal decreto di riorganizzazione, quindi avevamo già messo in campo da prima dell'entrata in vigore del codice del Terzo settore, una serie di azioni per promuovere la trasparenza e la rendicontazione di quello che facciamo, a partire dalle raccolte fondi. Ad esempio, sul nostro sito pubblichiamo già da tempo le delibere dei consigli direttivi e i provvedimenti presidenziali che adottiamo nella nostra associazione, da dove sono accessibili ai soci. Adesso, viste le peculiarità della nostra organizzazione, per allinearci e dare seguito al lavoro che stiamo conducendo, abbiamo organizzato la pubblicazione dei dati secondo le indicazioni ricevute dall’Anac-Autorità nazionale anti-corruzione. Abbiamo, inoltre, un'unità operativa interna alla nostra struttura nazionale che si occupa di portare avanti tutti gli adeguamenti di trasparenza previsti dalle varie normative, implementandole con gli uffici competenti in base a tutti gli obblighi previsti.

Che impatto ha avuto la riforma del Terzo settore sull’impianto organizzativo e sulla gestione della governance del suo ente?

L’impatto della riforma è stato positivo, noi avevamo in essere anche prima della riforma una serie di modelli organizzativi rispondenti alle nuove regole, acquisiti dopo la transizione da ente pubblico ad associazione di diritto privato, come l’obbligo di avere un revisore dei conti, la redazione e pubblicazione dei bilanci, la possibilità dei soci di eleggere il proprio presidente di consiglio direttivo, tutte pratiche già in uso nella nostra associazione. Quindi la nostra struttura di governance ha proseguito un lavoro già impostato, dovendo effettuare solo ulteriori piccoli adeguamenti.

L’impianto fiscale è ancora un grande punto interrogativo. Che conseguenze ha nella vostra organizzazione questo stato di incertezza?

L’impianto fiscale è sicuramente il punto più incerto: perché se da una parte c’è un percorso chiaro sul codice del Terzo settore, sulla parte fiscale non c’è un percorso ancora del tutto definito, pensiamo ad esempio ai ritardi nell’autorizzazione da parte della Commissione europea. In questo caso, la grande difficoltà per noi risiede nel non riuscire a dare ai nostri livelli territoriali risposte chiare e semplici con indicazioni che possano seguire, in particolare perché, oltre al livello nazionale, abbiamo i nostri comitati territoriali che sono autonomi, con proprie partite iva e registrati come associazioni. Su questa parte dell'impianto fiscale evidenziamo ancora una grande incertezza che produce un effetto negativo in termini di pianificazione e programmazione delle attività, soprattutto a livello territoriale.

Il registro unico nazionale del Terzo settore è operativo. Come vi siete preparati a questo passaggio?

Come Croce rossa nazionale svolgevamo già da tempo un lavoro di supporto ai livelli territoriali, in più nel 2018 abbiamo costituito l’unità organizzativa dedicata a fornire le informazioni e il lavoro di raccordo tra le richieste della normativa e le attività dei comitati territoriali. Sempre nello stesso anno abbiamo iniziato questo lavoro che ha previsto delle interlocuzioni con il Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, condotte anche con il supporto del Forum Nazionale del Terzo Settore. Abbiamo poi portato avanti ulteriori interlocuzioni a livello regionale con i vari uffici deputati, avvalendoci anche del fatto che, come struttura interna, abbiamo dei livelli regionali che hanno legami più diretti sul territorio e hanno supportato questo passaggio. Infine, ci siamo organizzati per garantire alle realtà del territorio degli specifici corsi, tutorial e manuali di compilazione delle varie richieste, in modo che ogni presidente o struttura di governance territoriale avesse indicazioni dal livello nazionale per svolgere queste operazioni. Ad oggi questa transizione sta avvenendo in modo lineare, anche date le specificità della nostra realtà: in quasi il 50 per cento delle regioni questo processo è stato completato, nelle altre si stanno portando a termine le procedure. È stato sicuramente un percorso di anni, favorito dal fatto di avere una struttura nazionale dotata di una buona interlocuzione con il territorio, che ha permesso un regolare svolgimento di tutto il processo.

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