Aspetti generali, domande e risposte, le sfide future di uno dei principali dispositivi dell'amministrazione condivisa
Attraverso un procedimento di co-programmazione, l’ente pubblico istituzionalmente responsabile degli interventi in un settore di interesse generale (in veste di amministrazione procedente, che guida quindi il procedimento), eventuali altri enti pubblici le cui competenze hanno elementi di intersezione con il settore in questione e gli enti del Terzo settore che desiderano prendere parte ai lavori avendone i requisiti, lavorano congiuntamente per meglio individuare e definire i bisogni e le loro evoluzioni, per individuare le strategie di risposta a tali bisogni – e quindi quali tipi di intervento, quali servizi o iniziative attuare – e per individuare le risorse – in senso lato: risorse economiche, strumenti, competenze, fattori immateriali, ecc. – esistenti e mobilitabili e quelle che sarebbero utili sebbene non presenti per raggiungere gli obiettivi di risposta ai bisogni prima individuati.
Perché si sceglie di co-programmare? Perché si ritiene che, grazie al concorso della pluralità di soggetti presente ai tavoli e tramite il confronto tra i diversi punti di vista di cui sono portatori, sia possibile giungere ad una più ricca lettura dei bisogni e ad una migliore analisi circa gli interventi da attivare, individuando altresì una pluralità di risorse – comprese talune non conosciute dall’amministrazione procedente – che possono essere coinvolte e attivate per rispondere ai bisogni individuati.
Come si avvia la co-programmazione? È avviata dall’ente pubblico istituzionalmente responsabile relativamente ad un determinato settore di interesse generale (amministrazione procedente); l’amministrazione può agire di propria iniziativa o avendo valutato coerente con le proprie priorità un’istanza avanzata da uno o più enti del Terzo settore.
Chi prende parte alla co-programmazione? I soggetti individuati dall’amministrazione procedente sulla base di un Avviso ad evidenza pubblica. L’evidenza pubblica deve essere conservata – giacché si tratta di contribuire a formare un indirizzo delle politiche pubbliche – anche nel caso sia stato uno specifico ente o gruppo di enti di Terzo settore a dare l’impulso, con una propria istanza, al procedimento di co-programmazione. In tale Avviso saranno indicati i criteri – ragionevolmente connessi agli obiettivi della co-programmazione – per individuare gli enti da ammettere ai tavoli di lavoro (ad esempio il fatto di avere competenze ed esperienza nel settore di interesse generale in questione). N.B.: non necessariamente i soggetti che co-programmano su un certo tema sono gli stessi che, eventualmente, poi, co-progettano (vedi il capitolo “La co-progettazione”); nella fase di co-programmazione potrebbero ad esempio essere coinvolti enti di rappresentanza come il Forum Nazionale del Terzo settore, università e centri di ricerca, ecc. il cui contributo è utile in fase di individuazione dei bisogni, ma che non hanno poi un ruolo operativo nella progettazione e realizzazione di specifici interventi.
Su quali temi si può co-programmare? Su tutti i temi connessi ai settori di interesse generale citati dalla riforma del Terzo settore.
Chi guida i tavoli di lavoro? L’amministrazione procedente o, su sua indicazione, un soggetto terzo con il ruolo di facilitatore.
Come si conclude un procedimento di co-programmazione? Si conclude con un documento di sintesi approvato dal gruppo di lavoro o, laddove emergessero letture inconciliabilmente diverse dei bisogni e quindi delle strategie di intervento per rispondervi, con più documenti di sintesi consegnati all’amministrazione procedente.
Ad esito di un procedimento di co-programmazione si destinano risorse? Certamente non si destinano risorse a singoli enti del Terzo settore (questo semmai avviene per effetto di una co-progettazione); possono essere destinate risorse – in modo puntuale o orientativo, ad esempio prevedendo una priorità di spesa – a determinati tipi di intervento (es. scegliere di destinare risorse a interventi residenziali o domiciliari o diurni rivolti a persone con disabilità, in coerenza con l’analisi dei bisogni sviluppata nella co-programmazione). In ogni caso serietà vuole che l’amministrazione procedente avvii la co-programmazione entro un contesto tale da rendere i lavori non un mero ipotetico esercizio di confronto su un tema, ma un contributo effettivo e operativo circa gli indirizzi che l’amministrazione vorrà assumere.
Gli esiti di una co-programmazione sono obbligatoriamente adottati dall’amministrazione procedente? Come evidenziano le linee guida, non vi è un automatismo, dovendo gli esiti della co-programmazione essere inseriti in un quadro più ampio di indirizzi e priorità dell’ente; al di là del dato giuridico, vale quanto detto sopra in termini di serietà: se l’esito di una co-programmazione fosse del tutto ignorato e disatteso, difficilmente l’ente troverebbe ulteriori successive disponibilità ad impegnarsi da parte del Terzo settore.
Gli interventi individuati in sede di co-programmazione devono essere oggetto di successive co-progettazioni? Non necessariamente, in quanto le risposte ai bisogni individuati possono richiedere ad esempio acquisto di beni e servizi da fornitori esterni, modifiche organizzative nell’operato dell’amministrazione procedente (ad esempio una riorganizzazione dei propri servizi), contributi monetari ai cittadini o altre azioni rispetto alle quali non è pertinente una co-progettazione. Certamente laddove un ente pubblico abbia assunto la strada dell’amministrazione condivisa può essere coerente, laddove pertinente, dare seguito al coinvolgimento del Terzo settore attraverso successive co-progettazioni.
Dove si possono trovare informazioni generali su come va gestito un procedimento di co-programmazione? Le linee guida approvate con dm 72 del 31/3/2021 contengono chiare indicazioni sugli elementi minimi che caratterizzano questo tipo di procedimento, essendo la definizione di dettaglio lasciata all’autonomia amministrativa del singolo ente.
In che rapporto si pongono, rispetto al settore del welfare, la co-programmazione e i piani di zona? Da una parte una co-programmazione su un tema specifico (es. sui minori o sulla povertà) può inserirsi all’interno di un piano di zona, dall’altra, a ben vedere, il piano di zona stesso è un esempio di co-programmazione.
Anche se, a rigor di logica, la co-programmazione è antecedente alla co-progettazione, in questi anni in Italia si è iniziato a co-progettare in modo consistente (anche se non sempre in modo corretto), ma a co-programmare poco; forse, a ben vedere, ancor prima della co-programmazione, è il concetto stesso di programmazione ad essere andato in crisi, nell’ambito di servizi spesso appiattiti su risposte emergenziali a bisogni pressanti e pertanto non in grado di guardare ad orizzonti futuri per ripensarsi.
Va però osservato che, ad esito delle migliori esperienze di co-progettazione, spesso enti pubblici e partner del Terzo settore hanno avvertito il bisogno di dare vita, in questi ultimi mesi, ad esperienze di co-programmazione, essendosi resi conto della parzialità di un processo di amministrazione condivisa il cui oggetto non sia stato frutto di uno sforzo di lettura e programmazione congiunta. Quindi è ragionevole attendersi che nei prossimi mesi queste esperienze tenderanno a crescere.
Questo comporta per il Terzo settore una sfida non banale. Anch’esso è spesso affaticato sulla gestione ordinaria, mentre la co-programmazione richiede competenze e investimenti nello studio e nell’analisi dei fenomeni e la capacità di sviluppare un pensiero innovativo immaginando scenari futuri. Una partecipazione non marginale ad un tavolo di co-programmazione richiede che il Terzo settore – non necessariamente un singolo ente – sappia proporre e argomentare contributi di pensiero originali, adeguatamente supportati da dati, conosca e sia in grado di riproporre buone prassi realizzate in altri contesti nazionali ed europei, ecc.: tutte cose che non nascono dal nulla, ma che richiedono investimenti organizzativi consapevoli.