Il parere si riferisce alla particolare categoria “a vocazione sociale”, che secondo un pronunciamento del Mise in accordo con il ministero del Lavoro, è inconciliabile con il Terzo settore. Nonostante operino in ambiti spesso affini
Con parere del 23 marzo 2021 il ministero dello Sviluppo economico (Mise) ha fornito chiarimenti in merito alla possibilità per una startup innovative a vocazione sociale (in breve Siavs) di ottenere l’iscrizione nella sezione speciale del registro delle imprese dedicata alle imprese sociali.
Sul punto il Mise ha rilevato l’impossibilità, per un soggetto giuridico, in base all’attuale quadro normativo, di essere titolare contemporaneamente di entrambe le qualifiche con contestuale assoggettamento del medesimo ente alla normativa sull’impresa sociale e a quella sulle Siavs.
L’eventuale successiva acquisizione della qualifica di “impresa sociale” deve pertanto avvenire contestualmente (o successivamente) alla perdita della qualifica di “start-up innovativa a vocazione sociale”.
La definizione generale di startup è contenuta nell’art. 25, comma 2 dl 179/2012, secondo cui “l’impresa start-up innovativa […] è la società di capitali, costituita anche in forma cooperativa, di diritto italiano ovvero una Societas Europaea, residente in Italia ai sensi dell'articolo 73 del decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, le cui azioni o quote rappresentative del capitale sociale non sono quotate su un mercato regolamentato o su un sistema multilaterale di negoziazione” e che possiede specifici requisiti elencati nella stessa disposizione.
La startup innovativa a vocazione sociale è una particolare categoria di startup disciplinata dal comma 4 del citato art. 25 e operante in via esclusiva nei settori indicati all’art. 2, comma 1 dlgs n. 155/2006, ossia:
L’impresa sociale, invece, è un ente privato che esercita in via stabile e principale un’attività d’impresa di interesse generale, senza scopo di lucro e per finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale, la cui regolamentazione è recata dal dlgs n. 112/2017.
Come si legge nel quesito posto al ministero dello Sviluppo economico, l’oggetto della richiesta è “la concreta differenziazione dello status speciale riconosciuto alle Siavs, le quali pur rientrando nella definizione di startup innovativa, operano in alcuni settori specifici indicati all’art. 2, comma 1, del decreto legislativo 155/2006. […] Non sembrano sussistere ostacoli alla possibilità che una startup a vocazione sociale adotti, anche di fatto, i requisiti prescritti per l’impresa sociale acquisendone la relativa qualifica”.
La richiesta di chiarimenti sembra originare dal fatto che le attività che si prefiggono di realizzare sia la Siavs che l’impresa sociale possono apparire compatibili se non identiche.
Da qui l’esigenza – espressa nel quesito – di comprendere se effettivamente una Siavs possa assumere la qualifica di impresa sociale e, in caso di risposta affermativa, quale iter dovrebbe seguire per ottenerla.
Il ministero dello Sviluppo economico ha fornito risposta il 23 marzo 2021, dopo aver acquisito il parere del ministero del Lavoro e delle politiche sociali (reso con nota del 17 marzo 2021).
In particolare, nella richiesta rivolta al ministero del Lavoro e delle politiche sociali il Mise ha proposto la propria soluzione interpretativa orientata a sostenere l’impossibilità di un cumulo delle due qualifiche in capo al medesimo soggetto (quella di startup innovativa a vocazione sociale ai sensi dell’art. 25, comma 4 dl n. 179/2012 e quella di impresa sociale definita dal dlgs n. 112/2017).
Nello specifico, confrontando i due riferimenti normativi appena citati, il Mise ha considerato evidente che le Siavs, pur operando in settori analoghi a quelli propri delle imprese sociali, siano assoggettate a una disciplina autonoma e non sovrapponibile a quella propria di queste ultime.
Sul punto, sono stati richiamati i seguenti elementi di differenziazione:
Da qui la deduzione per cui un’impresa non possa essere contemporaneamente assoggettata a entrambe le suddette discipline.
Nel caso in cui, pertanto, un’impresa in possesso della qualifica di Siavs intenda acquisire (ovviamente, possedendone i requisiti) la qualifica di impresa sociale, essa dovrà necessariamente rinunciare – ad avviso del Mise – alla qualifica precedentemente posseduta, attraverso un’istanza di cancellazione dalla sezione speciale del registro delle imprese dedicata alle startup innovative.
Il ministero del Lavoro e delle politiche sociali – interpellato sul punto – ha ritenuto del tutto condivisibile la soluzione interpretativa prospettata dal Mise in ordine all’impossibilità di un cumulo delle due qualificazioni.
Ciò per due ordini di ragioni.
Ha in primo luogo evidenziato come i due istituti risultino ben distinti e incompatibili per il differente criterio d’ispirazione della legge che li sostiene.
Quella definita dalla specifica normativa di riferimento è un particolare tipo di startup innovativa, in possesso di tutti i requisiti previsti dalla legge per questa particolare categoria di enti, che in più opera in predeterminati ambiti, individuati attraverso il richiamo alle attività di interesse generale di cui al dlgs n. 155/2006, già recante la disciplina dell’impresa sociale e oggi abrogato per effetto dell’entrata in vigore del dlgs n. 112/2017.
Il già menzionato richiamo è volto appunto a definire, ferma restante la disciplina di base in materia, esclusivamente gli specifici ambiti in cui la startup è tenuta ad operare per essere qualificata “a vocazione sociale”. Tale caratteristica, che ne evidenzia la connessione con il mondo dell’imprenditoria sociale, “rappresenta un requisito intrinseco alla nozione giuridica di Siavs”.
Ciò nonostante, le Siavs non sono annoverabili tra i soggetti del Terzo settore in quanto la loro natura resta quella di enti lucrativi: cioè che distingue in maniera inequivocabile le due qualifiche, infatti, è la loro diversa connotazione rispetto al carattere della lucratività. Il richiamo alla disciplina dell’impresa sociale serve solo a limitarne l’ambito di operatività, qualificandole per la particolare attività esercitata, senza che ciò comporti quale conseguenza immediata l’applicazione della normativa posta dalla disciplina di settore.
Per le Siavs (ma più in generale per le startup innovative) il divieto di distribuzione degli utili è posto dal dl n. 179/2012 quale limite meramente temporaneo e non quale caratteristica permanente dell’ente: “esso è essenzialmente finalizzato ad una più agevole e rapida crescita dimensionale dell'impresa, in modo che i proventi dell'attività, conseguiti anche grazie alle agevolazioni riconosciute alle startup innovative, siano destinati a consolidare gli investimenti effettuati nella fase iniziale di attività e non ‘dispersi’ a vantaggio immediato e diretto dei soci”.
Il divieto di ripartizione (anche indiretta) degli utili (art. 3 dlgs n. 112/2017), con le limitate attenuazioni definite dalla stessa norma, è al contrario una condizione permanente “che l’impresa sociale è tenuta a rispettare, in modo da assicurare la destinazione del proprio patrimonio all'effettivo perseguimento di finalità solidaristiche e di utilità sociale; tale destinazione comporta l'obbligo di devolvere il proprio patrimonio in caso di perdita della qualifica – ovvero di fuoriuscita anche volontaria dal perimetro del Terzo settore – ad altri enti accomunati dalle medesime caratteristiche”.
Inoltre, alla differente motivazione dei due istituti fa riscontro la constatata differenziazione tra le due discipline e la considerazione – del Mise e condivisa dal ministero del Lavoro – secondo cui un’impresa non può essere contestualmente assoggettata ad entrambe, considerato anche il fatto che il legislatore non fornisce alcun criterio gerarchico in base al quale ordinare le diverse fonti normative.
Ne sono casi evidenti le previsioni secondo cui “le due tipologie di imprese operano negli ambiti di rispettiva competenza in via prevalente (impresa sociale) e in via esclusiva (Siavs); sono assoggettate a diverso regime in caso di insolvenza (l.c.a. per l’impresa sociale, composizione della crisi di sovraindebitamento per la Siavs); sono tenute a redigere e depositare una il bilancio sociale (impresa sociale) l’altra un documento di descrizione dell’impatto sociale (Siavs), devono osservare diverse disposizioni in materia di organo di controllo (sempre obbligatorio per l’impresa sociale, non per la Siavs, per la quale si rinvia alle disposizioni civilistiche afferenti alla forma in cui l’impresa è costituita)”.
Sulla base di tali considerazioni, il ministero del Lavoro ha condiviso la posizione espressa dal Mise circa l’impossibilità di una cumulabilità delle due qualifiche con contestuale assoggettamento del medesimo ente alla normativa sull’impresa sociale e a quella sulle Siavs.
Ciò fatta salva – alla scadenza del termine previsto per il possesso della qualifica ex art. 25, comma 4 dl n. 179/2012 o prima, in caso di rinuncia volontaria alla medesima con susseguente cancellazione dalla sezione startup del registro imprese – la possibilità che l’ente, previo adeguamento del proprio statuto alle disposizioni recate dal dlgs n. 112/2017, possa richiedere l’iscrizione presso la sezione speciale del registro imprese dedicata alle imprese sociali, secondo le modalità di cui al decreto interministeriale 16.03.2018 Mise/Mlps, acquisendo in tal modo la qualifica di impresa sociale.