Ordinamento e amministrazione Terzo settore, cosa dice l’ultima nota ministeriale

Il Lavoro conferma che nelle associazioni si possono individuare diverse categorie di soci ma mantenendo per tutti gli stessi diritti. Chiarimenti anche sulle modalità di sostituzione degli amministratori che dovessero cessare il loro mandato in anticipo

La nota del Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali n. 18244 del 30 novembre scorso, riporta una serie di risposte fornite dalla Direzione generale del Terzo settore sul tema dell’ordinamento e amministrazione degli enti del Terzo settore (Ets). Ecco i contenuti del chiarimento.

Le possibilità di ammettere nelle associazioni del Terzo settore categorie di soci con diritti limitati

È stato richiesto al Ministero se sia possibile, nelle associazioni Ets, prevedere statutariamente categorie di associati con diritti sociali limitati, in particolare con riguardo al cosiddetto elettorato passivo.

La nota ministeriale ammette che possano esistere differenti categorie di associati disciplinate da statuto o regolamento, ad esempio in relazione alla scelta di determinate persone di garantire un maggior apporto economico all’ente rispetto agli altri associati (essendo quindi esse considerate “soci sostenitori”); oppure qualora una specifica attività che l’associazione svolge (si pensi al soccorso sanitario o alla protezione civile) necessiti, anche se svolta a titolo di volontariato, di una particolare qualifica o titolo professionale (potendosi configurare una specifica categoria di soci, volontari o retribuiti, impegnati in quella determinata attività perché possiedono i requisiti per svolgerla). La posizione del Ministero è però netta nell’affermare come l’eventuale appartenenza a diverse categorie di associati non possa comportare alcuna differenziazione (in termini di riduzione o limitazione) dei diritti associativi, in particolare con riferimento ai diritti di elettorato attivo e passivo.

Per quanto riguarda il diritto all’elettorato attivo, il codice del Terzo settore pone (art. 25, c. 2) come principi inderogabili per tutti gli enti del Terzo settore costituiti in forma associativa quelli di democraticità, pari opportunità ed uguaglianza di tutti gli associati, i quali impongono agli statuti di assicurare ad ogni associato la possibilità di partecipare, in condizioni di parità con gli atri, alla definizione degli indirizzi associativi e a determinare la composizione degli organi sociali.

L’ulteriore disposizione che prevede che ciascun associato abbia diritto ad un voto (art. 24, c. 2) rende, secondo il Ministero, assolutamente contrarie ai principi appena menzionati eventuali clausole statutarie che prevedessero la pienezza dell’elettorato attivo solo per alcuni associati.

Si precisa poi che la prassi ammessa in determinate organizzazioni del Terzo settore (associazioni con più di 500 associati o reti associative), per la quale il livello associativo di base individua un gruppo di delegati titolati a partecipare alle decisioni degli organi deliberativi del livello superiore, non costituisce una deroga ai fondamentali principi di democraticità, pari opportunità ed uguaglianza ma ne rappresenta una diversa modalità di espressione, funzionale alla complessa struttura organizzativa dell’ente.

Sempre in relazione all’elettorato attivo, il Ministero afferma come nelle associazioni che prevedono l’ammissione di soci minorenni, privare essi del diritto di voto significherebbe ledere il loro status di socio: richiamando la nota n. 1309 del 6 febbraio 2019, si ribadisce quindi che tale diritto deve ritenersi attribuito ex lege ai soggetti investiti della potestà genitoriale.

In relazione invece al diritto di elettorato passivo, la nota ministeriale ribadisce anche qui che i principi di pari opportunità ed uguaglianza tra gli associati non consentono di escludere dal voto passivo specifiche categorie di soci.

Viene però specificato come il principio di uguaglianza debba in tal caso essere contemperato con l’effettivo possesso dei requisiti che consentano alla persona di svolgere l’incarico per la quale viene eletta.

Sulla base di un principio di ragionevolezza si richiama in primis il caso dell’associato minorenne, che non può assumere incarichi associativi comportanti specifiche responsabilità se non è pienamente e legalmente titolato ad assumerle.

Viene poi menzionata l’impossibilità (art. 26, c. 2 del codice del Terzo settore) di assumere l’incarico di amministratore per i soggetti di cui all’art. 2382 del codice civile (interdetti, inabilitati, falliti, condannati a pene che comportano l’interdizione dai pubblici uffici o l’incapacità ad esercitare uffici direttivi), oppure la possibilità di subordinare l’assunzione della carica al possesso di “specifici requisiti di onorabilità, professionalità ed indipendenza” (art.26, c.3 del codice). Tra questi ultimi sono specificati, a titolo di esempio: le incompatibilità previste nei confronti dei titolari di incarichi di natura politica, amministrativa, sindacale; l’incompatibilità con incarichi associativi presso enti diversi o diversi livelli organizzativi dello stesso ente; la necessità di specifici requisiti di professionalità; l’assenza di condanne per reati diversi da quelli previsti dall’art. 2382 del codice civile.

Il Ministero precisa però che la presenza in statuto di simili previsioni, volte a far sì che gli amministratori possano assolvere il loro incarico nel miglior modo possibile, è ammissibile e non vìola l’uguaglianza tra gli associati a patto che siano conformi ad un principio di ragionevolezza e non siano tali da riservare di fatto l’accesso alle cariche solamente ad un gruppo ristretto di soci già individuati.

La nota ministeriale svolge poi sul tema altre considerazioni importanti.

È precisato che un’eventuale partecipazione non assidua da parte degli associati alle attività sociali (ad esempio agli eventi associativi o alle sedute assembleari) oppure ad attività di volontariato (che, per definizione, devono essere spontanee) non può comportare alcuna riduzione dei diritti associativi. I diritti di partecipazione sottintendono infatti anche la possibilità di astenersi temporaneamente dalla stessa, o di sceglierne liberamente l’intensità.

Infine, il Ministero evidenzia come il “carattere aperto” delle associazioni del Terzo settore non ammetta limitazioni statutarie al numero complessivo di associati o a quelli di una singola categoria, né contempla la possibilità di subordinare l’ammissione al fatto che la persona sia stata presentata da parte di uno o più associati; vincoli che invece sono ammissibili per i circoli privati esterni al Terzo settore, comunque tutelati dal principio costituzionale di libertà associativa. È interessante qui notare come il Ministero (che richiama ancora la nota n. 1309 del 6 febbraio 2019) configuri il “carattere aperto” come un requisito fondamentale di tutte le associazioni del Terzo settore e non solo delle associazioni di promozione sociale (Aps).

La possibilità di ricorrere all’istituto della cooptazione

Con un altro quesito è stato chiesto se sia possibile, nelle associazioni Ets, nel momento in cui cessano dall’incarico uno o più componenti dell’organo di amministrazione (per decesso, decadenza, revoca, dimissioni o altre cause), applicare l’istituto della cooptazione disciplinato dall’art. 2386 del codice civile.

Tale disposizione si applica alle società di capitali e prevede la possibilità, qualora nel corso dell’esercizio vengano meno uno o più amministratori, di poterli sostituire da parte dei rimanenti, con deliberazione approvata dal collegio sindacale e fino alla prima assemblea utile (la quale può confermarli oppure revocarli), di modo da permettere all’ente di continuare ad operare senza convocare subito l’assemblea. Il codice civile non fornisce alcuna indicazione sulle caratteristiche e gli eventuali requisiti che i cooptati debbano possedere, e quindi la scelta è liberamente rimessa agli amministratori ancora in carica, ferma restando la necessaria approvazione da parte del collegio sindacale.

Come premessa della sua analisi, il Ministero evidenzia un principio molto importante (già messo in luce, ad esempio, nella nota n. 9313 del 16 settembre 2020) secondo cui il richiamo che l’art. 3 del codice del Terzo settore opera al codice civile, pur generale, non sembra ammettere una generale applicabilità agli Ets dei modelli organizzativi e degli istituti di tipo societario; e ciò è rafforzato dal fatto che laddove il codice del Terzo settore ha voluto rinviare alle disposizioni del Libro V del codice civile, lo ha fatto in maniera specifica e limitata (ad esempio in materia di conflitto di interessi, di responsabilità degli amministratori, di cause di ineleggibilità e decadenza degli stessi).

L’art. 2386 del codice civile non è richiamato puntualmente nel codice del Terzo settore e quindi, nel determinare l’applicabilità dell’istituto della cooptazione anche alle associazioni Ets occorre valutarne la compatibilità con la disciplina del Terzo settore.

Si tratta in particolare di contemperare le due esigenze che vengono qui in rilievo, cioè quella di salvaguardare il fondamentale principio di democraticità (di cui l’elettività degli amministratori da parte dell’assemblea costituisce una specifica declinazione) con quella di assicurare il regolare funzionamento dell’ente, condizione necessaria per poter realizzare le attività di interesse generale considerate dal legislatore meritevoli di particolare tutela.

Il Ministero ritiene che le associazioni del Terzo settore non possano ricorrere alla cooptazione come metodo per sostituire uno o più amministratori, ed eventuali clausole statutarie che la prevedessero sarebbero non conformi al codice del Terzo settore.

La ragione è che, mentre per le società di capitali la preminente esigenza della continuità della gestione dell’impresa potrebbe (sia pure temporaneamente) far passare in secondo piano i poteri assembleari, per le associazioni Ets l’elettività delle cariche da parte dell’assemblea (sancita dall’art. 26, c. 1 del codice) rimane in ogni momento prioritaria e sovraordinata a qualsiasi altra esigenza. Se si ammettesse la possibilità della cooptazione, gli amministratori cooptati avrebbero infatti gli stessi poteri di quelli eletti, e ciò fino all’eventuale ratifica da parte dell’assemblea (che potrebbe intervenire anche diversi mesi dopo l’insediamento), il tutto in assenza di una puntuale disposizione del codice che preveda un simile meccanismo.

È quindi precisato che se in un’associazione Ets dovesse venir meno la maggioranza dei componenti di nomina assembleare, l’assemblea dovrà essere convocata con la massima urgenza consentita per procedere alla sostituzione, ferma restando la possibilità per lo statuto di collegare la decadenza dell’intero organo al verificarsi di un numero inferiore di cessazioni.

La nota ministeriale osserva inoltre che l’eventuale ricorso alla cooptazione da parte di un’associazione del Terzo settore non sarebbe sottoposta all’approvazione dell’organo di controllo (come avviene invece nelle società con il collegio sindacale), dato che negli Ets costituiti in forma associativa tale organo è obbligatorio solamente qualora si superino i limiti previsti dall’art. 30 del codice.

Sulla base delle stesse considerazioni, il Ministero ritiene invece possibile, sempre che lo statuto lo preveda, il ricorso alla cooptazione per le fondazioni del Terzo settore, vista la differente natura della fondazione e considerando inoltre che nelle fondazioni Ets la presenza dell’organo di controllo è obbligatoria.

La nota ministeriale precisa infine che non è considerata cooptazione l’ipotesi in cui agli amministratori cessati subentrino i primi tra i non eletti nel corso dell’ultima elezione, nell’ordine di preferenza risultante dalla graduatoria finale. Qualora lo statuto lo preveda, tale meccanismo sarebbe pienamente legittimo, in quanto capace di operare un corretto bilanciamento tra principio di democraticità ed esigenza di funzionamento dell’ente.

La facoltà di nomina degli amministratori di un’Odv da parte di soggetti esterni

È stato infine richiesto se un’organizzazione di volontariato (Odv) possa delegare la nomina di una minoranza di amministratori ai “soggetti esterni” previsti dall’art. 26, c. 5 del codice del Terzo settore, cioè ad altri Ets o enti senza scopo di lucro, enti religiosi civilmente riconosciuti, lavoratori o utenti dell’ente.

Ricordiamo che per le Odv vale la previsione speciale del codice per cui tutti gli amministratori devono essere scelti tra le persone fisiche associate ovvero indicate, tra i propri associati, dagli enti associati (art. 34, c. 1).

Sulla base di tale quadro normativo il Ministero ritiene possibile, a differenza di quanto sembrava aver indicato nella precedente nota n. 6214 del 9 luglio 2020, che anche nelle Odv lo statuto possa affidare la nomina di una minoranza di amministratori ai “soggetti esterni” menzionati in precedenza. Per rispettare il principio di cui all’art. 34, c. 1 tale nomina dovrebbe però avvenire, nelle Odv di “primo livello”, all’interno delle persone fisiche associate; nelle Odv di “secondo livello” il soggetto esterno dovrebbe “pescare” da una rosa di soggetti preindividuati dagli enti associati all’Odv, scelti all’interno delle rispettive basi associative.

Per maggiori informazioni sulla nota ministeriale leggi anche “Lavoro nel Terzo settore, cosa dice l’ultima nota ministeriale”.

Per maggiori informazioni sulla nota ministeriale leggi anche “Registro unico nazionale del Terzo settore, cosa dice l’ultima nota ministeriale"

Foto di Nicole Schüler da Pixabay

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