Co-programmare e co-progettare serve per far crescere tutti i soggetti interessati, migliorare l’analisi dei bisogni evitando gli sprechi e rafforzare l’impatto sociale. Lo chiedono alcuni dei formatori del programma Capacit’Azione. E chiedono di parlare un linguaggio comune
La collaborazione tra pubblica amministrazione e terzo settore è uno dei grandi nodi della riforma. Con l’articolo 55 del codice del terzo settore, infatti, il coinvolgimento della cittadinanza attiva organizzata nella gestione dei servizi viene finalmente legittimato e si predispongono strumenti dedicati per lavorare insieme, dall’analisi dei bisogni alla gestione degli interventi.
Co-programmazione e co-progettazione sono i principali strumenti pensati per favorire la collaborazione tra pa e terzo settore, applicabili a tutti i settori, dall’ambiente alla cultura, dal welfare alla gestione dei beni comuni. L’invito è quello alla cooperazione, quindi, e non alla competizione, per superare la logica del ribasso nelle gare d’appalto e lavorare, invece, per costruire servizi efficienti e rispondenti ai reali bisogni delle comunità. Non a caso, questo bisogno è emerso anche dai primi dati sul monitoraggio del programma di formazione sulla riforma Capacit’Azione, in cui i formatori intervistati rivendicano un terzo settore non più remissivo nei confronti della pubblica amministrazione, ma capace di mettere a disposizione conoscenze e competenze, senza cedere alle sirene della mercatizzazione.
Uno dei moduli del programma formativo sulla riforma del terzo settore Capacit’Azione è dedicato proprio a questi temi. Sedici date, 128 ore di formazione svolte e 193 formatori “certificati” in tutt’Italia: sono questi i primi dati dell’unità didattica 8 “Sussidiarietà e rapporti con la Pubblica amministrazione, co-programmazione, co-progettazione, forme di convenzionamento, accreditamento e affidamento dei servizi”, cui hanno partecipato anche funzionari e dirigenti della pubblica amministrazione. Ad alcuni di loro, da nord a sud Italia, abbiamo posto alcune domande, non solo per valutare l’offerta formativa ma anche per tastare le aspettative rispetto alle novità legislative in questo campo e far emergere i nuovi bisogni della pubblica amministrazione.
A rispondere per il sud Italia, la psicologa Giuseppina Saccà dell’ufficio Servizi sociali dell’Unione dei Comuni del "Versante Ionico" - Isca sullo Ionio (afferente all'Ambito di Soverato in provincia di Catanzaro); per il nord Alessandro Venturini dell’Istituzione Servizi Educativi Scolastici e per le Famiglie di Ferrara (U.O Politiche Familiari ed Integrazione - Ufficio Integrazione Disabili); per il centro, Maria Giuseppa Divona, funzionario con P.O. dell’Area Welfare di comunità e innovazione sociale della Regione Lazio e Donatella Rossi, coordinatrice dei servizi socio sanitari di LAZIOcrea S.p.A.
Sulla formazione proposta da Capacit’Azione il giudizio è stato pressoché unanime: un’offerta di qualità per crescere da un punto di vista professionale e conoscere nuovi strumenti utili nel proprio impegno quotidiano. “Ha avuto una grande forza aggregativa – ha spiegato Divona – avviando confronti tra i soggetti pubblici e privati interessati alla riforma, consentendo ai partecipanti di mettere in gioco le proprie capacità e competenze per trasformare le risorse educative in opportunità di sviluppo professionale”. Oltre la classica lezione frontale, quindi, per creare una cultura comune e offrire nuovi strumenti. “Ottima ed efficace sia da un punto di vista dei contenuti – continua Saccà – e molto spendibile nel lavoro di tutti i giorni, soprattutto per me che lavoro in un servizio sociale di base”. “Ci ha offerto un bagaglio di strumenti molto operativi e pratici – gli fa eco Venturini – e considero positiva la gestione dei gruppi, dei tempi e le modalità di relazione”.
E l’auspicio è quello di proseguire su questa rotta. “Capacit’Azione è stato indispensabile per divulgare i principi innovativi legati alla riforma del terzo settore – ha spiegato Rossi –. Coinvolgendo un gran numero di operatori del terzo settore e di funzionari della pa, ha diffuso le informazioni fondamentali per approcciare la riforma e ‘allineato’ le competenze. È auspicabile che questa divulgazione continui con un ulteriore percorso di formazione tecnica per elevare il livello di conoscenze ed abilità necessarie per chi la riforma la deve attuare e guidare”.
Da un punto di vista normativo, la collaborazione tra pa e terzo settore era già stata aperta da provvedimenti come la legge 328 sui servizi sociali, portando a diverse esperienze di co-progettazione in ambito sociale su aspetti innovativi. Quella introdotta dall’art 55 consente la sua applicazione a tutte le 26 attività di interesse generale, e non solo per progetti innovativi. La co-programmazione è poi una novità assoluta che riconosce agli enti del terzo settore pari dignità rispetto alle istituzioni perché svolgono attività di interesse generale. Sono loro che possono contribuire all’individuazione dei bisogni generali e all’individuazioni delle risposte più efficienti.
Ma quali sono le aspettative su queste nuove opportunità? Innanzitutto, la sfida della cooperazione può essere la strada per far crescere tutti. “Bisogna regolamentare le forme di relazione tra pa e terzo settore – spiega Divona – e superare i dubbi interpretativi che hanno accompagnato e frenato l’applicazione di questi istituti dalla valenza culturale e pratica travolgente. Serve l’impegno di tutti: le pubbliche amministrazioni dovranno individuare modalità regolamentari ed organizzative legittime ed efficaci per gestire i rapporti e adeguare la competenza del personale, attraverso una formazione costante; gli enti del terzo settore liberarsi della autoreferenzialità e partecipare, con responsabilità e senza rivalità, alla definizione ed attuazione delle politiche pubbliche, mettendo a disposizione dei tavoli di confronto conoscenze ed esperienze”.
A migliorare, inoltre, sarà soprattutto la valutazione del contesto. “L’analisi condivisa dei bisogni è la chiave di queste nuove esperienze – spiega Saccà. Una sinergia ordinata tra pa e terzo settore servirà a individuare quelli emergenti e ampliare i servizi evitando interventi a pioggia, facilitando una programmazione cucita secondo le reali esigenze degli utenti. Questo accadrà soprattutto in quelle aree di limbo, ad esempio tra l’ambito sociale e sanitario. Alcuni bisogni non sono facilmente classificabili e solo il terzo settore può rispondere in modo efficace. Basti pensare all’assistenza domiciliare per gli anziani: la co-progettazione potrebbe attivare servizi nuovi e più mirati. In generale, però, non siamo ancora attrezzati: serve una maggiore consapevolezza su questi temi e un maggiore coinvolgimento nelle attività formative degli operatori della pa”.
Crescere insieme, per far crescere soprattutto le piccole realtà. “È importante legare la co-programmazione con la co-progettazione – spiega Venturini – perché la prima permette una reale condivisione dei bisogni del territorio. Credo sia utile mantenere un legame anche con le imprese sociali del territorio perché la continuità dei servizi deve essere considerata una ricchezza. Questo non significa evitare la concorrenza o perseguire una modalità lobbistica, ma è un modo per far crescere le piccole esperienze radicate favorendo la nascita di modalità di lavoro consorziato. In questo modo è possibile intrecciare le diverse realtà e far crescere le piccole realtà dei territori anche dal punto di vista imprenditoriale, di capacità di gestione e di tenuta amministrativa”.
Cooperare, infine, per migliorare l’impatto sociale complessivo degli interventi. “Sono strumenti che possono portare a una maggiore efficienza nell’utilizzo dei fondi di settore – spiega Rossi – e ad una maggiore efficacia nella implementazione delle politiche regionali. Fondamentale assicurare procedure operative snelle e passaggi amministrativi semplificati che coinvolgano il più possibile le associazioni di rappresentanza. Nello spirito della legge di riforma dovrà essere attuato e potenziato lo strumento della valutazione di impatto sociale per orientare sempre meglio le attività di co-programmazione e co-progettazione. Queste nuove attività determineranno l’emergere di nuove competenze e di specifiche figure professionali specializzate che andranno opportunamente certificate per garantire una sempre maggiore qualità dei processi di collaborazione tra istituzione e terzo settore”.
L’art. 55 del codice introduce una serie di strumenti innovativi. Ma gli operatori della pubblica amministrazione sono adeguatamente preparati a valorizzarli a pieno? Quanto è necessaria una formazione specifica per rendere la normativa davvero operativa? La risposta è unanime: per attuare la riforma bisogna parlare un linguaggio comune. “L’innovatività degli strumenti legislativi – spiega Divona – implica la necessità di adeguare ed allineare le competenze di tutti gli attori in scena”. L’unica strada per far dialogare questi sistemi, quindi, è la competenza. “Se il terzo settore viene a parlare con me che sono funzionario della pubblica amministrazione e io non so cosa rispondere – continua Saccà –, la comunicazione si ferma e continua a regnare l’incompetenza. A rimanere indietro è sempre l’utente per cui non saranno attivati i giusti servizi. Capacit’Azione mi ha fatto capire che la pubblica amministrazione e il terzo settore devono lavorare necessariamente insieme perché dove non arriva l’uno, arriva l’altro”. Formare gli operatori pubblici coinvolti in questi processi serve da più punti di vista. “Innanzitutto a spiegare in modo preciso quali azioni possano essere sganciate in modo legittimo e legale dai meccanismi del semplice appalto – propone Venturini –, ma anche per condividere esperienze già avviate da altre amministrazioni e formare i tecnici al percorso degli atti necessari per rendere fattiva la co-progettazione”.