Tra le caratteristiche fondanti del Terzo settore vi è il fatto di operare in “attività di interesse generale”.
Per le imprese sociali, l’elenco è il seguente:
Le attività di interesse generale che caratterizzano l’impresa sociale costituiscono un sottoinsieme del complesso delle attività di interesse generale previste per il Terzo settore. Risultano, infatti, escluse le attività di beneficenza, promozione della cultura della legalità, della pace tra i popoli, della nonviolenza e della difesa non armata, la promozione e tutela dei diritti umani, civili, sociali e politici, le iniziative di aiuto reciproco, incluse le banche dei tempi e i gruppi di acquisto solidale, le adozioni internazionali, la protezione civile, che sono svolgibili dagli enti di Terzo settore (Ets) solo se diversi dalle imprese sociali. Per completezza va notato che invece il microcredito è previsto per le imprese sociali e non per le forme non imprenditoriali del Terzo settore.
L’impresa sociale può operare anche in qualsiasi altro settore di attività funzionale all’inserimento di lavoratori svantaggiati e disabili, che in tal caso devono rappresentare almeno il 30% dei lavoratori, calcolati “per teste” secondo le indicazioni della circolare ministeriale del 3 maggio 2019 sul “Computo lavoratori svantaggiati nell’impresa sociale”. Il fatto che, similmente alle cooperative sociali di tipo B, le imprese sociali possano dirsi tali svolgendo una qualsiasi attività attraverso cui inserire lavoratori svantaggiati, era già presente nella precedente normativa, ma le categorie e le percentuali di ciascuna di esse risultano aggiornate secondo il seguente schema:
Le attività di interesse generale che caratterizzano l’impresa sociale costituiscono un sottoinsieme del complesso delle attività di interesse generale previste per il Terzo settore. Risultano, infatti, escluse le attività di beneficenza, promozione della cultura della legalità, della pace tra i popoli, della nonviolenza e della difesa non armata, la promozione e tutela dei diritti umani, civili, sociali e politici, le iniziative di aiuto reciproco, incluse le banche dei tempi e i gruppi di acquisto solidale, le adozioni internazionali, la protezione civile, che sono svolgibili dagli enti di Terzo settore (Ets) solo se diversi dalle imprese sociali. Per completezza va notato che invece il microcredito è previsto per le imprese sociali e non per le forme non imprenditoriali del Terzo settore.
L’impresa sociale può operare anche in qualsiasi altro settore di attività funzionale all’inserimento di lavoratori svantaggiati e disabili, che in tal caso devono rappresentare almeno il 30% dei lavoratori, calcolati “per teste” secondo le indicazioni della circolare ministeriale del 3 maggio 2019 sul “Computo lavoratori svantaggiati nell’impresa sociale”. Il fatto che, similmente alle cooperative sociali di tipo B, le imprese sociali possano dirsi tali svolgendo una qualsiasi attività attraverso cui inserire lavoratori svantaggiati, era già presente nella precedente normativa, ma le categorie e le percentuali di ciascuna di esse risultano aggiornate secondo il seguente schema:
ENTI DEL TERZO SETTORE
OFFRE SERVIZI FINALIZZATI ALL’OCCUPABILITÀ DELLE FASCE DEBOLI | ASSUME LAVORATORI SVANTAGGIATI (A PRESCINDERE DAL TIPO DI ATTIVITÀ) |
FISCALIZZAZIONE DEGLI ONERI SOCIALI PER LE PERSONE SVANTAGGIATE ASSUNTE | |
TERZO SETTORE IN GENERALE |
SI
|
NO |
|
IMPRESE SOCIALI DIVERSE DALLE COOPERATIVE SOCIALI |
SI
|
SI
|
NO |
COOPERATIVE SOCIALI |
SI Per le cooperative di tipo A dopo la riforma
|
SI Per cooperative di tipo B almeno il 30%:
|
SI |
Per lavoratori molto svantaggiati (Regolamento UE 2014/651) si intende:
Sono considerati svantaggiati solo per i primi 24 mesi dopo l’assunzione:
Gli svantaggiati ex 381/1991 sono:
Le imprese sociali devono svolgere come attività prevalente una o più di quelle sopra elencate. La prevalenza è attestata dal fatto che esse determinano non meno del 70% del fatturato.
Sulla questione è intervenuto a far chiarezza il decreto del Ministero dello Sviluppo economico del 22 giugno 2021 che stabilisce i criteri di computo e gli obblighi e le sanzioni derivanti dal superamento dei limiti.
Nel caso di mancato rispetto della percentuale minima del 70%, l’impresa sociale deve comunicarlo al Ministero del Lavoro entro 30 giorni dalla data di approvazione del bilancio. Se cooperativa sociale la stessa comunicazione, e negli stessi termini temporali, deve essere fatta al Ministero dello Sviluppo economico.
Nell’esercizio successivo poi, l’impresa sociale è obbligata a mantenere un rapporto tra ricavi relativi all’attività d’impresa di interesse generale e ricavi complessivi, calcolati sulla base dei criteri forniti dal decreto, che sia superiore al 70%, incrementato della misura almeno pari alla percentuale non raggiunta nell’esercizio precedente.
Il mancato rispetto di questo obbligo conduce alla perdita della qualifica di impresa sociale.
Le previsioni qui indicate riguardano tutte le imprese sociali; le cooperative sociali continuano a seguire la propria disciplina, con alcune modifiche introdotte relativamente alle cooperative sociali di tipo A.
Va segnalato che l’elenco di attività previste per le imprese sociali e il fatto che le cooperative sociali sono imprese sociali di diritto, non determina per queste ultime la possibilità di svolgere l’intero insieme delle attività sopra elencate. Su questo punto, il codice del Terzo settore si è limitato, infatti, ad una circoscritta estensione dei settori indicati dalla legge speciale, affermando che le cooperative sociali di tipo A possono operare nell’ambito dei servizi sociali, sociosanitari, educativi, nell’istruzione e formazione professionale, nella formazione extra scolastica, nei servizi finalizzati all’inserimento lavorativo. Altre attività di fatto frequentemente svolte dalle cooperative sociali (es. turismo sociale, housing, agricoltura sociale) sono svolgibili da una cooperativa B se e in quanto costituiscono occasione di lavoro per persone svantaggiate, mentre altre (es. accoglienza migranti o gestione di beni confiscati) lo sono nella misura in cui si configurano come servizi socioassistenziali, sociosanitari o educativi.
OBBLIGHI E DIVIETI
Le imprese sociali devono esercitare in via stabile e principale (quindi con ricavi pari almeno al 70% del totale) le attività di interesse generale sopra specificate, conformandosi altresì alle discipline specifiche vigenti per ciascuna di esse.
Alcuni tra i settori di attività non erano presenti nella previgente normativa sull’impresa sociale. Si tratta di:
Rispetto all’inserimento lavorativo, come sopra indicato, vi sono talune modifiche nelle categorie e nelle percentuali.
Decreto legislativo 3 luglio 2017, n. 112 “Revisione della disciplina in materia di impresa sociale”: art. 2, 2 comma 4
Legge 8 novembre 1991, n. 381 “Disciplina delle cooperative sociali”
Decreto ministero del Lavoro e delle politiche sociali del 17 ottobre 2017
Decreto Ministero dello sviluppo economico del 22 giugno 2021
Decreto legislativo 24 marzo 2006, n. 155 “Disciplina dell’impresa sociale”
La disposizione relativa ai settori di attività è vigente.
La scheda è aggiornata a giugno 2022.