Ecco alcune indicazioni sulle linee guida che gli enti di terzo settore possono seguire per costruirsi un proprio codice. Tra gli aspetti da valorizzare, la trasparenza, la democrazia interna, le procedure decisionali, il rapporto tra associazione e soci, la misurazione dell’impatto e delle attività
La riforma del terzo settore pone particolare attenzione sulla qualità e sull’accountability degli enti. Mentre il concetto di qualità di un’organizzazione è chiaro a tutti, con il secondo termine si usa l’inglese per rappresentare insieme la trasparenza (“rendere conto”) e la responsabilità nella gestione, entrambe garantite da un adeguato sistema di controllo interno.
Tale attenzione è testimoniata da due linee guida che accompagnano la riforma e che sono recentemente state emanate dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali: quelle sul bilancio sociale e quelle sulla valutazione d’impatto sociale.
Entrambi questi strumenti (o processi) sono quindi strettamente integrati con il percorso che il Forum Nazionale del Terzo Settore ha voluto attivare volontariamente più di due anni fa attraverso le Linee guida per il codice di qualità e di autocontrollo.
Queste sono state realizzate, attraverso un approccio fortemente partecipativo (con oltre 100 partecipanti), per indirizzare gli enti del terzo settore (Ets) all’interno di un percorso originale articolato in tre stadi: il codice (che richiama il ruolo caratteristico dei codici etici) di qualità (finalizzato all’individuazione dei requisiti di qualità dell’organizzazione) e autocontrollo (riferito al processo di self-assessment della rispondenza delle modalità di funzionamento ai principi e ai requisiti precedentemente definiti).
Per questo codice, che si propone di integrare la dimensione etica a quella della qualità e a quella dell’autocontrollo, è stato pertanto adottato l’acronimo (Cqa).
Le linee guida sono state elaborate con l’obiettivo di essere utilizzate dagli Ets interessati, al fine di redigere un proprio documento di qualità ed auto-controllo, che dovrà quindi corrispondere alle caratteristiche e alle peculiarità dell’organizzazione ma in una dimensione armonica e condivisa, tale da rendere i codici confrontabili in quanto provenienti da una comune matrice di senso e di responsabilità. Già alcuni Ets hanno utilizzato le Linee guida per costruire e far approvare dai propri organi un loro Cqa, coerente con il quadro generale condiviso in seno al Forum del Terzo Settore.
In questo logica, il Cqa costituisce:
L’utilità del Cqa dovrebbe nascere dall’interno dell’Ets. Infatti spetta all’organizzazione stessa, in prima istanza, procedere nel fondamentale percorso della enunciazione delle proprie finalità, strutturando la valutazione delle proprie azioni, monitorando costantemente ed in maniera codificata le proprie attività, anche al fine di evitare di incorrere in irregolarità di carattere etico o giuridico.
Vi sono poi le previsioni legislative strettamente legate agli Ets, ovvero la l. 106/2016 e il d. lgs 117/2017. Nella legge di riforma del terzo settore, il tema dell’autocontrollo viene esplicitamente trattato negli artt. 4 e 7.
Nell’art. 4 vengono evidenziati i parametri di trasparenza ed accountability cui sono chiamati a rispondere gli enti di terzo settore. Essi sono:
Nell’art.7 si indica che viene promossa “…l'adozione di adeguate ed efficaci forme di autocontrollo degli enti del terzo settore anche attraverso l'utilizzo di strumenti atti a garantire la più ampia trasparenza e conoscibilità delle attività svolte dagli enti medesimi…” (art. 7, comma 2, l.106 del 2016).
L’attenzione sulla necessità di dotarsi di un proprio Cqa da parte degli Ets sta crescendo. Questo genera l’utilità di un approccio proattivo e graduale, capace di far crescere le competenze rispetto a percorso che non è solo necessario, ma che può essere molto utile per l’intero terzo settore.
È diffusa infatti la consapevolezza che vi siano negli Ets alcuni elementi che vanno ulteriormente rafforzati e valorizzati: che sono quelli della trasparenza, della democrazia interna, delle procedure decisionali, del rapporto tra associazione e soci, della misurazione dell’impatto e delle attività in genere.
Tramite strumenti come il Cqa si può uscire dal terreno dell’autoreferenzialità, con una sfida che anticipi la produzione di norme esterne. Tale aspetto si inserisce nel patto sociale che da sempre intercorre tra gli Ets e le comunità in cui operano, permettendo al tempo stesso agli Ets di rendere maggior conto del proprio operato e consolidando quindi il rapporto fiduciario con i cittadini.
È, infatti, pienamente condivisa dagli Ets la finalità del terzo settore espressa nella prima parte dell’art 1 della legge di riforma “…perseguire il bene comune, elevare i livelli di cittadinanza, di coesione e protezione sociale, favorire la partecipazione, l’inclusione e il pieno sviluppo della persona, valorizzare il potenziale di crescita” e di sviluppo dell’occupazione in termini qualitativi e quantitativi, sociali ed economici.
All’interno di questa definizione, infatti, sono presenti tutte le peculiarità di questo complesso settore: la partecipazione delle persone, l’approccio mutualistico, l’attenzione alle fragilità sociali, la loro protezione e tutela, il tema della solidarietà e l’importante peculiarità che impone di non poter valutare il terzo settore esclusivamente sulla base di ciò che viene fatto, ma anche attraverso una valutazione dei processi avviati e delle motivazioni che spingono gli attori ad intraprendere tali percorsi.
Ciò significa che quello che si fa, nasce per dare risposta alle istanze di cambiamento sociale, culturale, di partecipazione e di protagonismo civile che provengono dalla società, non per una finalità sociale a sé stante ma a tutela dei diritti umani fondamentali e dell’uguaglianza.
* professore ordinario di management presso la Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa e presidente di Cittadinanzattiva