Le ragioni della riforma

Una riflessione sui motivi che hanno portato alla riorganizzazione dell’impianto normativo per il terzo settore, a cinque anni dal primo annuncio, secondo Pierluigi Consorti, Luca Gori ed Emanuele Rossi della Scuola Sant’Anna di Pisa

1 – DEFINIRE I CONFINI DI UN SISTEMA IN CRESCITA
Non è di certo una novità: il terzo settore è un sistema che cresce e il dato numerico è una delle ragioni che ha portato all'avvio del percorso sulla riforma. Secondo i dati del censimento permanente del non profit del 2017, si tratta soprattutto di associazioni (85,3%) riconosciute o meno, cui seguono cooperative sociali (4,8%) e fondazioni (1,9%) e a seguire altre forme giuridiche (8%). Si tratta per la maggior parte di organizzazioni con attività prevalente “Cultura, sport e ricreazione”, ma anche “Istruzione e ricerca”, “Sanità” e “Assistenza sociale e protezione civile”. In tutto, si contano 5.528.760 volontari impegnati in organizzazioni di terzo settore. Il numero di dipendenti passa da 680mila a 788mila e sono concentrati in poco più di 55mila istituzioni. I numeri chiedevano questo: un riconoscimento.

La definizione di terzo settore è scientificamente elastica. Ci sono diverse formule che identificano quest’area sociale: si parla molto spesso di “non profit” o “volontariato”, che con margini di incertezza indicano quei soggetti che “fanno gratuitamente qualcosa per gli altri”. Nel tempo il diritto ha dovuto circoscrivere quest’area individuando per legge soggetti che ben conosciuti: le organizzazioni di volontariato (Odv), le associazioni di promozione sociale (Aps), le organizzazioni non governative (Ong) – e finalmente le Onlus – e poi le imprese sociali. A partire dagli anni Novanta, si faceva riferimento a una legislazione frammentata, ora raccolta nel Codice del terzo settore. Si tratta di un testo che unifica le diverse tipologie in un’unica categoria, quella dell’ente di terzo settore (Ets) sostanzialmente determinata dall’iscrizione dell’ente nel nuovo registro unico nazionale (Runts). L'iscrizione è riservata agli enti senza scopo di lucro, che perseguono finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale e svolgono una o più delle attività di interesse generale, anch’esse elencate nel codice. È l'iscrizione al nuovo registro che identifica l'area del terzo settore che corrisponde a criteri determinati dalla legge. Ciò non toglie che si tratta di un sistema socialmente inteso, che può avere confini più larghi, perché possono esserci enti socialmente afferenti al terzo settore, che però non vogliono (o non possono) iscriversi al Runts.

La semplificazione adottata dal codice facilita la determinazione dei soggetti che hanno diritto alle prerogative che la legge assegna ai soli Ets. In termini sociali, però, il terzo settore continua a rispondere a parametri plurali, che possono cambiare nel tempo e anche dipendere da molteplici opinioni. Non è un caso che esista uno sforzo internazionale di definizione di questo sistema e che non ha ancora portato a risultati univoci.

2 - ALLARGARE LA PLATEA DEGLI ENTI APPARTENENTI AL TERZO SETTORE
La libertà di associazione ha creato specifiche tipologie di enti del terzo settore che poi il legislatore, successivamente, ha riconosciuto. È accaduto così con le Odv, le cooperative sociali, le Aps, le imprese sociali. Oggi il legislatore riconosce questa qualifica ad ulteriori soggetti – che di fatto già esistevano, ma non erano giuridicamente ammessi a godere delle prerogative del terzo settore – ossia gli enti filantropici (quelli costituiti per erogare contributi per scopi socialmente meritori) e le reti associative. Sono state poi inserite le storiche società di mutuo soccorso e, più in generale, il codice ammette che possano iscriversi al Runts anche associazioni o fondazioni diverse da quelle che finora potevano strutturarsi come Odv o Aps. Ci potranno essere, quindi, anche associazioni, fondazioni o comitati che hanno scopi di utilità civica e svolgono le attività di interesse generale elencate nella normativa, che potremmo definire “enti del terzo settore generici”, che fino ad oggi non potevano rientrare nel quadro normativo riservato ai soli enti tipici del terzo settore (quindi sottoposti a normativa specifica). Anche questo è un risultato positivo, con una avvertenza: la “creatività” della libertà di associazione non conosce sosta…    

3 – ECONOMIA E SOLIDARIETÀ: FAR DECOLLARE L'IMPRESA SOCIALE
Uno dei temi forti della riforma del terzo settore è stato quello di dare uno specifico riconoscimento all’anima imprenditoriale del non profit, rappresentata “giuridicamente” dalle cooperative sociali – previste già dal 1991, che espressero una forma di impegno del mondo del volontariato deciso ad intervenire nel campo economico in maniera più incisiva. La forma imprenditoriale più utilizzata è stata la cooperativa, una ‘forma speciale’ rispetto all’impresa collettiva costituita come società. Nel 2005 si sono aggiunte le imprese sociali, che non sono mai decollate. Queste sono state una scommessa politica, basate sull’assunto che le attività di utilità sociale (oggi chiamate di “interesse generale”) possono essere avvantaggiate dalla legge senza distinguere fra i soggetti che li gestiscono – che possono essere tanto associazioni o fondazioni quanto società – purché resti sempre ferma l’assenza dello scopo di lucro. Nel caso delle società commerciali, quest’esclusione si è presentata come una vera e propria novità, che ha dato possibilità al mondo imprenditoriale di avvicinarsi a quello del non profit mettendo fine alla precedente incomunicabilità. Inoltre, ha consentito ai tradizionali soggetti non commerciali di svolgere le loro attività di utilità sociale con modalità imprenditoriali. Quest’ultima circostanza ha fatto avvertire il rischio – sentito da più parti – di spostare troppo il Terzo settore sul versante imprenditoriale, certamente professionalizzandosi, ma marginalizzando le esperienze fondate sul volontariato originario.

Il codice del terzo settore, infatti, ha introdotto novità significative proprio in relazione al volontariato, finora concepito come un fenomeno collettivo. Basti pensare che anche per la legge, i volontari non potevano che essere soci di Odv. La nuova normativa ha invece scelto di adeguarsi ad un’idea di volontariato proposta in ambito internazionale. L’idea del “lavoro gratuito” ha sempre costituito un problema concettuale, perché il lavoro è collegato alla retribuzione ed il volontariato costituisce un’eccezione potenzialmente problematica, perché è facile ‘fingere’ come volontariato lavoro nero.

L’Organizzazione internazionale del lavoro (Oil) nel 2011 ha definito il volontariato “lavoro non retribuito e non obbligatorio; ossia, tempo donato da individui in assenza di retribuzione per svolgere attività tramite un’organizzazione o direttamente per altri al di fuori della propria famiglia”. Questa definizione è stata nella sostanza ripresa nell’art. 17 del Codice, che oggi ammette che si possa svolgere attività di volontariato anche individuale e non necessariamente presso un Ets. In definitiva, il volontariato ha cambiato pelle: con una potenziale perdita della sua specificità, specialmente rispetto alla storia italiana.

4 – METTERE ORDINE ALLA LEGISLAZIONE VIGENTE
I primi tre obiettivi mettono in evidenza la necessità di creare un quadro giuridico dotato dei caratteri di sistematicità, organicità e completezza. Già nel 2009, peraltro, l’Agenzia per le Onlus (successivamente ribattezzata Agenzia per il Terzo settore) aveva elaborato e trasmesso al Governo un documento contenente proposte per una “revisione organica della legislazione sul terzo settore”, sul presupposto della necessità “di razionalizzare e semplificare l’attuale quadro normativo - costituito da una disorganica stratificazione legislativa prodotta nel corso di ormai un ventennio - inserendo le proposte di revisione all’interno di un quadro di riferimento unitario e coerente”. Il Codice prova a rispondere a questa sfida. Molti elementi positivi sono rimangono alcune criticità. Ad esempio, l’unificazione della disciplina non è stata completa. Le imprese sociali, le cooperative sociali e le società di mutuo soccorso – che pure sono considerati Ets – seguono leggi proprie, diverse fra loro e dal Codice. La disciplina della cooperazione allo sviluppo (pensiamo alle Ong) e del servizio civile (e quindi degli ‘enti di servizio civile’) rimane parallela a quella del Codice. Resta, quindi, una certa frammentarietà del sistema. Infine, il Codice dovrebbe costituire lo strumento giuridico per cui tutta la normativa che riguarda il Terzo settore sta dentro di esso: ma così non è.

5 - MANTENERE UN LIVELLO QUALITATIVO ADEGUATO E TENERE ALTA LA REPUTAZIONE
Il legislatore non nasconde la preoccupazione per un possibile uso distorto della qualifica di Ets. Questa forte preoccupazione ha dato adito ad una decisa richiesta di maggiore trasparenza, con l’individuazione di oneri di comunicazione, attestazioni, ecc. e con una più incisiva disciplina delle forme periodiche di controllo, che possono determinare anche la cancellazione dal Runts. Questi meccanismi, che richiedono molta specializzazione e anche parecchia attenzione burocratica, possono “penalizzare” gli ETS addossando loro oneri di pubblicità e trasparenza eccessivi o incongruenti. Specialmente nel caso di enti di dimensioni locali. L’insieme di questi oneri peraltro non esclude che le “mele marce” possano imparare a “farla franca”: rischiano di non essere comunque individuate, ma si penalizza una vasta gamma di enti “sani”.

La reputazione rimane molto alta, comunque. Basti pensare al discorso di fine anno del Presidente della Repubblica e al buon andamento delle donazioni nel nostro Paese.

6 – MONITORARE, VALUTARE, CONTROLLARE E VERIFICARE
Le Linee guida del Governo erano chiare nell’indicare il ruolo che ci si attende dal terzo settore: “Tra gli obiettivi principali della riforma vi è quello di costruire un nuovo Welfare partecipativo, fondato su una governance sociale allargata alla partecipazione dei singoli, dei corpi intermedi e del terzo settore al processo decisionale e attuativo  delle politiche sociali, al fine di ammodernare le modalità di organizzazione ed erogazione dei servizi del welfare, rimuovere le sperequazioni e ricomporre il rapporto tra Stato e cittadini, tra pubblico e privato, secondo principi di equità, efficienza e solidarietà sociale”. I vantaggi e i benefici attribuiti agli enti del terzo settore sono “bilanciati” dalla richiesta del rispetto di determinati oneri e dalla sottoposizione ad una attività di monitoraggio, valutazione, controllo da parte della pubblica amministrazione. Tutto questo a partire dal registro unico nazionale, il deposito del bilancio sociale, la valutazione dell’impatto sociale, il controllo affidato agli uffici del Registro e all’Agenzia delle entrate. Ciò, però, è funzionale ad entrare a fare parte del sistema di programmazione e organizzazione di servizi di interesse generale, stabilmente.

Rimane la domanda, sullo sfondo: che fine fa l’autonomia, l’originalità e la spontaneità del terzo settore (come ha ricordato il Presidente della Repubblica per la fine dell’anno)?

7 - RIPENSARE GLI STRUMENTI DI RELAZIONE TRA ENTI DEL TS E AMMINISTRAZIONI PUBBLICHE
Si tratta di un tema molto importante, a cui però il legislatore ha dedicato pochissimi passaggi (artt. 55, 56 e 57 del Codice), limitandosi a prefigurare soluzioni, ma senza dettarle nello specifico. In effetti, la disciplina del rapporto fra pubblica amministrazione e Ets è uno degli aspetti più tormentati e meno risolti, come ha dimostrato il parere del Consiglio di Stato dell’agosto 2018. Significativa è comunque la scelta di coinvolgere il terzo settore nella co-programmazione e co-progettazione dei servizi, e non sono di quelli sociali. Manca quindi, oltre a indicazioni legislative precise, un sistema pronto a recepirle.

8 – REPERIRE FONTI DI FINANZIAMENTO PER L’INCREMENTO DELLE ATTIVITÀ DI INTERESSE GENERALE
Riuscire a fare investimenti nel medio e lungo periodo per essere competitivi sul “mercato” presuppone l’esistenza di un terzo settore fortemente imprenditoriale. Le prime risposte date dal legislatore sembrano interessare una parte, invero ristretta, del terzo settore. Se, da un lato, le misure di pubblicità e di monitoraggio sulle attività aiuteranno l’accesso al credito (e, d’altra parte, anche il legislatore europeo si sta muovendo in questa direzione), dall’altro è vero che si tratta di un “debutto” che sconta qualche difficoltà, per il quale forse il terzo settore non è ancora pronto e che ha bisogno ancora di qualche intervento di migliore messa a punto.

Non solo, quindi, benefici legati alla liberalità dei singoli, bensì veri e propri strumenti di finanziamento delle attività di interesse generale, slegate dall’intervento pubblico.

9 – OFFRIRE FORME E MODALITÀ PER UN “RICONOSCIMENTO ISTITUZIONALE” DEL TERZO SETTORE
La costruzione di sedi di rappresentanza unitarie è uno dei dati di novità della riforma del terzo settore. Il Consiglio nazionale del Terzo settore sarà una sede efficace a questo scopo? La “sfida” unitaria è senz’altro non ancora raggiunta in quanto la definizione di Terzo settore ha innescato fenomeni di “fuga”.

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